Tu non sei questo, tu non sei quello ..

Qui inauguro una sezione dedicata alla lettura ..
Il brano che oggi intendo focalizzare è tratto da “La filosofia come stile di vita” di Romano Madera e Vero Tarca – ed. Bruno Mondadori –  dal capitolo 6.1: “L’autobiografia come pratica filosofica”, pag 186-193.
Trovo sia una rilettura “dovuta”, nel senso di “necessaria” e “benefica”, in questo momento di passaggio dall’estate all’autunno. Nei giorni scorsi, in uno scambio con Francesco, era ricorsa l’inevitabilità di chiudere alcune porte, come sempre è necessario fare rispetto ai cambiamenti che si presentano nel corso delle stagioni – senza contare che ci sono porte che sarebbe preferibile evitare di aprire.
La mia intenzione iniziale – se la riproduzione anche parziale, quando non autorizzata, non fosse vietata – sarebbe stata di pubblicare il testo completo; così facendo avrei ottenuto almeno due vantaggi in un colpo solo: lasciare a ciascuno la libertà di scoprire eventualmente da sé i punti focali, e dedicare tutta la mia attenzione a mettere in pratica i contenuti teorici che vi sono espressi – cosa che, nei limiti delle mie possibilità, cerco di fare da un certo numero di anni, consapevole che ci sia sempre da migliorare e da imparare.
Ma non darei neppure per sprecato il tempo che avevo dedicato alla copiatura di un testo di questo spessore, dal momento che sono convinta che l’apprendimento può passare a diversi livelli, non ultimo quello fisico, dalla mano oltre che dall’occhio e dall’orecchio.
Un altro motivo per cui avrei evitato di ridurre il testo ai minimi termini, adesso, è che in questi giorni i miei interessi sono principalmente rivolti altrove. Mia madre sarà operata fra poco, perciò prevedo che dovrò impegnare le mie energie su altri fronti. Ma a dirla tutta, approfondire questo testo sarà uno dei modi che di certo mi aiuteranno a sintonizzarmi  sulla realtà presente.
Di fatto, non sarà una relazione, ma riflessioni e interpretazioni che da lì prendono l’avvio, senza distanziarsi, però, di molto.

 

Più di una volta, in momenti critici (post-critici o pre-critici) ho constatato che concentrarsi su un testo difficile – difficile relativamente alle mie capacità, ovvio – si è rivelato utile per dis-trarre la mia attenzione sul problema contingente; dis-trarre al punto da, non tanto da rendermi indifferente al problema presente, e pressate, ma semmai al punto da, darmi modo di riuscire a controbilanciarne il peso, e quindi a sopportarlo più agevolmente, distribuito così su entrambi i lati delle mie spalle. E già qui entro nel vivo dello scritto che ho preso in considerazione, perché è proprio l’atteggiamento di “distacco” uno dei punti nodali che, secondo me, emergono dalla colta disquisizione di Madera  sull’entità e il significato dell’io filosofico:  che è il sé, ossia l’io “vero”, cioè “reale” e nello stesso tempo universale.

Ho omesso alcuni passaggi, ma mi sembra evidente che il significato che noi diamo all’io, come lo intendiamo e dove si colloca, investe tutti gli aspetti della nostra esistenza, sia che ci consideriamo filosofi o meno. Mentre il dis-trar-si da sé, anche se può sembrare solo una strategia, è già un passo verso il distacco, che può consentire  uno sguardo su se stessi, ma dall’esterno.

 

Senza pretendere di essere “filosofo”, comunemente parlando, e come chiunque, negli anni mi sono  ripetutamente chiesta cosa sia quest’io di cui tanto si parla. E chi sia. E fra tutte le inevitabili possibili fluttuazioni che hanno e avranno luogo nel divenire storico – vale a dire: fatto scanso delle differenti e innumerevoli descrizioni linguistiche, e narrative, che sono comparse e compariranno, evolvendosi e trasmutando l’una nell’altra – ogni qualvolta, al di sopra e al di sotto di tutto, come di lato, emerge che l’io “vero” e reale è l’io “puro” – come ci suggerisce il testo, dal quale sono lieta di “rubare” la parola che lo definisce. Se non piace la parola “puro” – immagino che qualcuno torcerà il naso – si può optare per la parola “integrale”.

Bisogna, infatti,  fare attenzione all’uso della parola “puro”, che non significa affatto “angelico” o in-contaminato o non toccato dalle “brutture” del mondo, dai difetti e dalle miserie dell’esistenza – che un io sifatto sarebbe un io “falso” piuttosto che un io “vero” – bensì è un “puro” nel senso di omnicomprensivo, ossia che comprende in sé tutti gli aspetti, sia quelli positivi che quelli negativi – che però non sono “negativi”, dal momento che non li si rinnega. Negare il negativo sarebbe infatti un’azione ugualmente negativa, che finirebbe per creare altrettanti risvolti ed effetti negativi.

D’altro canto, anche l’ostilità, oggi largamente prevalente, e per certi versi pienamente giustificata verso un certo tipo di purezza, rischia di mutarsi in un vero e proprio favoreggiamento dell’in-purità. Nella prospettiva del “puro sé”, invece, “l’accettazione” di tutti gli aspetti della nostra esistenza si distingue da atteggiamenti che possano incentivarli o promuoverli. Il “puro sé” si sforza di tenere un atteggiamento terzo tanto rispetto al negativo quanto alla sua negazione.

Per descrivere questo tipo di atteggiamento si può usare, come già accennato sopra, la parola “distacco”: distacco sia dal negativo che dal suo rifiuto.

Un distacco che però va ben distinto da ogni forma di in-differenza. Perché è chiaro che  l’in-differenza è un anch’essa un atteggiamento negativo: nei confronti delle passioni, degli affetti e dei sentimenti dell’esistenza reale. Mentre, l’atteggiamento di cui si sta parlando, fa della passione per la pura esistenza delle cose, il centro della propria intensa e vitale affettività.

Il carattere paradossale di questa forma di distacco si compie prendendo le distanze dallo stesso io generico, in modo tale che lo stesso io si realizza proprio mediante il completo distacco da se stesso.

Sembra un rompicapo, n’est ce pas? Sembra .. ma come spesso capita, forse è più difficile a dirsi che farsi. Forse.

Ma ancor più che i filosofi, la tradizione buddhista è riuscita a spiegare questo atteggiamento con alcune massime, che (seppur nella loro formulazione “negativa”),  sono molto efficaci.

La prima è: “Tu non sei questo, tu non sei quello, ecc.”. Vale a dire che non vi è alcuna necessità assoluta di doversi identificare con gli eventi che accadono attorno, o che stiamo vivendo. La seconda è: “Tu sei quello”: cioè, tu, che non sei né il tuo moto di rabbia, né le sensazioni di tristezza, né il tuo desiderio di qualcosa, ecc., in verità sei quello: il “puro” che tutto “comprende”.

Nel mio piccolo, l’immagine visiva che più facilmente mi si compone  davanti agli occhi, è quella di una portatrice – o portatore – di pesi. La portatrice di pesi di certo non è i pesi che trasporta, ma è anche  altrettanto certo che quando, e se, riesce a distribuirli equamente tra il suo lato sinistro e il suo lato destro, in equilibrio, ha meno difficoltà a trasportarli – sempre che non intenda trasportarli  sulla testa ..

E di certo verrà anche un giorno in cui potrà deporli del tutto, e farne a meno. O anche giorni, nel frattempo, in cui potrà non lavorare. Per esempio nei giorni di riposo, o quando è festa.

Non ho potuto pubblicare il testo, ma  ho trovato altri brani scelti dallo stesso libro, qui: http://www.tecalibri.info/M/MADERA-R_filosofia.htm

4 pensieri riguardo “Tu non sei questo, tu non sei quello ..”

  1. sono passati un po’ di anni da quando ho letto quel testo (davvero importante per la mia crescita filosofica), ogni tanto ci torno, spizzico e “rubo” qualche passo – ma le pagine che hai citato proprio non le ricordavo, e dunque dovrò senz’altro rimediare… anche perché le tue riflessioni mi hanno stimolato non poco;
    ne approfitto per esprimerti la mia vicinanza a proposito dell’intervento di tua madre.
    à bientot

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    1. Grazie Mario.
      Ricominciare dopo la spensierata parentesi estiva, così diversa dalla vita quotidiana su questi lidi lombardi, non è facile. Per questo cercavo qualcosa che mi fosse di aiuto, a riprendere, anche sul fronte dello studio, oltre che della concentrazione.
      Anche per me è importante questo libro, lo considero una pietra basilare: pietra non in senso negativo, come qualcosa che è rimasto sullo stomaco e che non si riesce a digerire, ma piuttosto come una delle pietre che stanno a costituire un focolare, vale a dire un luogo dove il fuoco può continuare a bruciare, ben protetto da pietre come questa. Ma anche altre, comunque pietre refrattarie .. all’annichilimento.
      Se andrai a leggere le pagine che ho indicato, ti accorgerai che ho “rubato” in abbondanza .. anche perché, avendole prima copiate, intere frasi mi erano rimaste nelle dita. Ma anche l’esercizio della “ripetizione” non è da sottovalutare, se l’intenzione è d’imparare qualcosa per benino.
      Ti ringrazio anche da parte di mia madre, ormai ci siamo.
      E mi auguro tanto che tu e i tuoi cari stiate bene.
      A presto

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  2. L’io, questo sconosciuto.
    Mi viene in mente l’immagine di una bolla di sapone. Di una bolla di sapone appena uscita dalla cannuccia di chi vi ha appena soffiato dentro, che prima di stabilizzarsi in una forma sempre più sferica, fluttua, oscilla elasticamente passando da un ellissoide ad un altro. Ebbene, l’io mi appare proprio così. Come una bolla di sapone che per quanto sia soggetta a relative modificazioni, fa sempre riferimento ad un centro (invisibile, ma che si può intuire) attorno al quale tutto si raccoglie.
    È possibile che questo centro possa essere l’io puro di cui tu parli?
    Nell’attesa di ulteriori definizioni, o suggestioni, che potrebbero contribuire a rendere più nitida l’immagine di questo misterioso oggetto (che sembra schivare costantemente i nostri tentativi di comprensione), ti invio un caro saluto e mi associo alla vicinanza di Mario..
    Ciao e a presto..

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  3. Può darsi, Francesco ..
    .. però a pensarci bene la bolla di sapone a me sembra un po’ troppo fragile, e di breve durata. Anche se, rapportando la durata del tempo infinito, alla durata di una vita finita di ogni io, la proporzione sarebbe più che generosa .. ma forse non altrettanto generosa verso l’importanza di ogni vita individuale, al quale l’io comunque è necessario .. e che non sia neppure troppo fragile.
    In questi giorni invece, cercando una similitudine, ho pensato al bambù, che è costituito da un corpo solido e uno spazio cavo, un vuoto che può essere attraversato da più cose, di passaggio.
    Diciamo che se potessi scegliere se somigliare ad una bolla di sapone, o ad un bambù, preferirei il bambù. Non so però se il bambù abbia un centro, ma credo che un asse, in collegamento tra la terra e il cielo, lo abbia di sicuro.
    Avevo intenzione di scrivere qualcosa su quest’ abbozzo d’idea, prossimamente. Vedremo ..
    E ti ringrazio tanto per la vicinanza ..
    A presto

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