merci … beaucoup

“La ricchezza delle società, nelle quali predomina il modo di produzione capitalistico, appare come una «immensa raccolta di merci» e la singola merce appare come una forma elementare. (…)
La merce è prima di tutto un oggetto esterno, una cosa che per mezzo delle sue proprietà soddisfa bisogni umani di qualsiasi specie. La natura di tali bisogni, p. es. che derivano dallo stomaco o dalla fantasia, non fa alcuna differenza. * Qui non si tratta neanche di come la cosa soddisfi il bisogno umano, se immediatamente, come mezzo di sussistenza, cioè come oggetto di piacere, oppure indirettamente, come mezzo di produzione.
Ogni cosa utile, come il ferro, la carta, ecc., si deve esaminare da un duplice punto di vista, secondo la qualità e quantità. Ciascuna di queste cose è un insieme di molte qualità e quindi può riuscire utile sotto aspetti diversi. È compito delle storia scoprire questi diversi aspetti e quindi i diversi molteplici modi di uso delle cose, come anche la scoperta di misure sociali per la quantità delle cose utili.” [Marx, Il capitale, Libro I, cap. I]

* “Desiderio comporta bisogno; è l’appetito della mente, anch’esso naturale come la fame del corpo … La maggior parte delle cose derivano il loro valore dal soddisfare i bisogni della mente.” (Nicholas Barbon)

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E ora, quattro righe per sgranchirmi le dita.
Riprendo salutando per prima cosa gli amici che ho lasciato alla fine dell’estate scorsa. Il termometro questa mattina segnava 15 gradi in veranda, per cui è ufficiale: possiamo quasi dire che l’estate 2012 è alle spalle, corsa e trascorsa.  Non è capitata la fine del mondo, no, non ancora, anche se di sicuro piccoli mondi sono scomparsi e altri apparsi ex novo, e la vita continua a vivere divorando la vita. Questa vita che in generale si estende e appare sulla superficie delle cose …


Tornando alle consuete rive, sono rimasta in bilico, sospesa sul tragico dubbio amletico – rifarmi le tette o iscrivermi alla facoltà di filosofia? – al quale non ho saputo dare risposta, optare entre les deux. Che una qualsiasi di certo sarebbe stata la mia salvezza. Ma no, il tragico è che non ho mai le idee chiare. Tergiverso.

Però, come vedete, ho ripreso tra le mani, e con tutto il suo peso, Il capitale nell’edizione Newton Compton Editori del 1976, inziando a leggerlo ovviamente dall’inizio. Qualche frase è sottolineata, ma ciò non significa gran che, nemmeno che riuscirò a leggerlo davvero fino in fondo neppure se avrò a disposizione abbastanza respiri.
Anche in questo caso la superficie di 1175 pagine escluso gli indici è particolarmente estesa: se non ho sbagliato i calcoli, ammonta a 44 metri   quadrati circa di pagine fitte di parole. Quante, impossibile dire su due piedi,  ma se ci fate caso pare la misura di un rispettabile bilocale interamente a nostra disposizione,  che desidera soltanto di essere abitato. Sulla qualità, la faccenda risulta vieppiù improbabile, prima di averle effettivamente lette –  parole e idee –  meditate e comprese almeno una buona parte. 

Ammetto che nei giorni scorsi tra le varie sospensioni sono stata affetta da un acuto desiderio di passare ad altri alfabeti; e può darsi che mi impegnerò in tal senso possibilmente nei prossimi mesi, sempre che riesca ad afferrare l’occasione,  benché sia risaputo che non sono mai stata brava ad afferrare le cose al volo. Questo non toglie che  non avendone altri a disposizione, per il momento continuerò ad utilizzare il solito e logoro, si sa.
Sarà utile?
Non so.
Mentre cucinavo ieri mattina, senza che lo desiderassi particolarmente nella mia testolina si è andata formando una frase nel solito usurato idioma italiano. Una frase imperfetta che può forse illustrare il tenore non solo dei miei desideri e bisogni, ma se vogliamo delle inquietudini di ciò che circola e imperversa dentro e fuori la società umana,  italiana in particolare. 

Il problema non è che «non c’è lavoro»
ma è «in che modo riuscire a monetizzarlo».

Il guaio, inoltre, è che l’unico obbiettivo sembra essere quello di monetizzarlo,        indifferentemente, qualunque cosa sia. Perché se non è monetizzato, è come se non valesse niente. Non esiste. Nulla.
Eppure, non sembra anche a voi quasi un eccesso di libertà, quando qualcosa riesce a sfuggire alla rete della monetizzazione? O sembra soltanto?

Ora qualche domandina alle quali mi riservo, non di dar risposte ma,  di aggiungerne a più riprese e a  iosa.  Ad esempio se:
 – le cose hanno – o non hanno – un valore intrinseco al di là della loro monetizzazione? ossia del valore monetario che viene imposto dal mercato di scambio?
Oppure se:
– si può stabilire il valore di una una merce quando non è soggetta allo scambio?

Ma andiamo per gradi, senza correre troppo, o senza mettere il carro davanti ai buoi – come si dice …

Un’ulteriore facezia a chiosa di questo post semiserio.
Un gioco di parole, derivato dal fatto che in francese merci significa grazie.
Per ciò, e nonostante tutto, come non dire «grazie, che ci sia qualcosa anziché nulla» ?

Merci, pourquoi il ya quelque chose plutôt que rien. 

Merci beaucoup!

 

(nota: la bimba sta dicendo Namasté )

 

13 pensieri riguardo “merci … beaucoup”

  1. Ciao Bortocal, bentornato anche a te.
    Eh già, sei il primo e ci sono buone probabilità che tu sia anche l’unico – per il momento, si spera.
    Non sarà perché le cose che scrivo non danno molti appigli per essere trasformata in merce di scambio?
    Avevo letto il tuo commento ieri sera, pensando di risponderti l’indomani, cioè oggi. E nel frattempo il tuo laconico finale “qualcosa indubbiamente è andato dimenticato”, si è trasformato nella mia memoria in “qualcosa indubbiamente è andato perduto” … eccetera.

    E invece, cosa esattamente sarebbe stato dimenticato? Le lezioni di Marx, intendi dire?

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    1. no, mi riferivo semplicemente ai nostri ultimi scambi i commenti un poco agitati (per colpa mia).

      sì, ho lasciato un commento di semplice saluto, senza entrare nel merito, anche perché ho bisogno, prima, di riambientarmi nel tuo blog che è mancato per molto tempo; mi pare di capire che hai alle spalle qualche momento difficile: lo capisco peraltro dalla prima versione del commento che mi è arrivata con la notifica, più che da quello che è rimasto qui sopra, dato che tu lavori sempre molto per arte di levare… 😉

      non troverei fuori luogo un allargamento della discussione dalla dimenticanza alla perdita, anche se la dimenticanza mi pare una perdita più grave della perdita stessa….

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  2. Oh, i commenti un po’ agitati … che vuoi che sia: come diceva un mio amico, una lite non si nega a nessuno … Mentre mio nonno diceva: bisogna essere in due per far la guerra. Ma perché non metterci anche che l’amore non è bello se non è litigarello?
    Evolvendo inoltre le cui sopra, qualche cervellino più stratificato potrebbe invece ammettere che si possono avere opinioni differenti, fino a prova contraria, anche se personalmente resto del parere che incappiamo più che altro in malintesi, in buona misura dovuti alla difficoltà di doversi esprimere scrivendo, il che è faticoso … Se potessimo scrivere dipingendo (o danzando), invece, andrebbe tutto meglio.
    Per il resto, no, nessun momento difficile, va tutto bene. Abbastanza, insomma.
    La perdita è una dimensione a cui ci si deve abituare, tutto qui.
    E comunque, mi applico anche nel battere, non soltanto nel levare. Hai visto la foto della bimba indiana che dice namastè? नमस्ते
    L’ho appena messa, quindi qualcosa aggiungo, come vedi.
    Come si è aggiunta un’altra estate, e poco fa mi sono accorta che bisognerà cominciare a rimettersi le calze. Quello che più mi manca è stare all’aria aperta …

    sulla perdita, avevo in serbo una storiella buddista prima di partire: vedo se riesco a ritrovarla …
    ciao

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  3. namasté, per il suo significato, è il saluto più bello che esista: è un modo per provare ad incollare il tuo interlocutore nel momento dell’incontro, al suo lato migliore, è un modo per iniziare una comunicazione con la promessa anche da parte tua, al momento in cui lo ripeti, di esprimere il divino che è in te.

    namasté, rozimilla. grazie per il resto, e aspetto la storiella buddista,,, 😉

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  4. che belle cose mi dici, Bortocal.
    sai che non conoscevo esattamente il significato di namasté? Mi era tornata in mente questa parola, qualche giorno fa, e se il gesto è di facile lettura.
    Ora capisco dove la Irygaray aveva preso quel “amo a te”, che è anche il titolo di un suo libro. M’inchino a te, questo vuol dire. Namasté.
    Sì, penso che questa è una delle cose che abbiamo dimenticato, bisognerà rinfrescare la memoria e riprendere a praticare gesti di questo tipo, questo per cominciare. E’ un buon inizio. E ogni momento è buono per re-iniziare …
    Qualche giorno fa avevo sentito, forse in un film, che gli indiani non considerano la vita (come noi) un diritto, bensì un privilegio.
    non so se è vero, ma è molto probabile che il loro l’approccio alla vita sia molto diverso dal nostro.
    Namasté, Bortocal

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  5. il “fior fiore dei commenti” è qui di lato, sulla destra, nel blogroll. (non hai curiosato abbastanza, vedo)
    sì, avevo già letto ieri le informazioni da wiki, e le avevo già aggiunte in nota in fondo al post.
    là sopra. La bimba sta dicendo … eccetera
    buona serata Bortocal 🙂

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    1. eccolo!

      e che impressione terribile vederci quella frase mia, cara rozmilla.

      leggendola penso: ma chi ha scritto una frase così bella? arrivo alla fine e ci trovo il mio nome: straniamento!

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      1. Oh, se per te è così terribile la posso sempre cancellare.
        Forse avrei dovuto chiedertelo? Prima?
        Una volta l’avevo chiesto a Francesco, e lui aveva risposto che non c’era nemmeno bisogno di chiederlo, ma che gli faceva piacere. Ma certo non siamo tutti uguali.

        Poi ne approfitto per rispondere qui alla risposta che mi hai dato da te, nel post sulle “pisciate filosofiche”.
        Anche perché di norma non invio commenti nei Blog che impongono la moderazione dei commenti, come attualmente accade nel tuo. Soprattutto quando nessun altro post né altri ospiti devono sottostare alla moderazione. D’altronde la moderazione dei commenti sembra l’abbia trovata anche Md, già dal primo commento che ha inviato. A meno che questo sia accaduto per magia, o per caso, e senza che tu ne fossi al corrente.
        Quindi non capisco proprio perché tu dica che nemmeno Md. sia molto amichevole. Per come la vedo io resta il fatto che hai scritto un post poco rispettoso nei confronti di Md., col quale in realtà non hai alcun tipo di rapporto personale né epistolare. Ma ovviamente se tiri la coda al gatto non aspettarti poi che il gatto ti faccia le fusa. Però non mi sembra nemmeno che il gatto ti abbia graffiato.
        Forse il post di Md., o la citazione di Hegel si prestava ad essere ridicolizzata?
        Può darsi. C’è il rischio però che il ridicolizzatore renda ridicolo se stesso, quando mette il suo diritto a ridicolizzare davanti al rispetto per la sensibilità di altri esseri umani.
        È vero che i pensieri rampollano, come il vino dal bicchiere. Ma se non si fa attenzione poi si macchia la tovaglia.
        E a quel punto le opzioni sono almeno due: o si smacchia la tovaglia col perborato, o la si butta via. Oppure se ne fanno stracci.
        Namasté, Bortocal …

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        1. leggo ora, dato che il commento non mi è stato comuncato in altro modo.

          la moderazione dei commenti non è regolata da me, ma è una impostazione globale data da me al blog e riguarda indifferentemente e soltanto chi commenta per la prima volta (forse anche chi commenta per la prima volta dopo un lungo periodo, non lo so; questa seconda spiegazione è valida se nel frattempo non hai cambiato indirizzo mail): vederla come provvedimento ad personam verso di te e verso il blogger domina sa un po’ di paranoia.

          continuo a non capire perché tu intenda e suggerisca anche all’altro interlocutore (senza rendertene conto) che un commento critico verso Hegel sia non amichevole verso mario domina che lo aveva citato; non mi pare che mario domina abbia preso per non amichevole il mio commento (scritto da me sul MIO blog, oltretutto, per non ferirlo sul suo eventualmente se era così sensibile): ha risposto con molta leggerezza e ci siamo fatti due sorrisi in amicizia, almeno per quanto mi riguarda, ma spero che sia stato così anche per lui.

          nei suoi riguardi comunque non devo affatto essere “rispettoso”, come lui non lo deve essere nei miei: siano due persone abbastanza adulte per scambiarci liberamente delle opinioni che non ledono in alcun modo la nostra immagine, dato che un dissenso nella valutazione di un filosofo morto due secoli fa non credo possa nuocerci in alcun modo.

          quando parlavo di non amichevole non parlavo infatti di lui, ma del tuo commento, di cui continuo ad evitare di dire tutto il male che penso, ma è uno squarcio abbastanza agghiacciante, punto e basta.

          non trovo niente di sufficientemente divino nel tuo commento qui né in quello da me per ricambiare il namastè.

          non rispondo col namasté agli attacchi personali e poi anche impersonali a freddo.

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          1. Mi sembra giusto che tu ti sia adirato, Bortocal.
            A me invece era già passata, indipendentemente dalle ragioni sulle quali ero ancora all’oscuro.
            Per me questo significa soltanto che siamo entrambi fatti di carne e ossa, e abbiamo entrambi il diritto di adirarci quando le cose – vere o false che siano, o come in questo caso dovuto in parte ad un equivoco – vanno oltre un certo limite.
            Ti chiedo di considerare il fatto che, benché fossi adirata, ti ho esposto i fatti come mi risultavano, chiedendoti spiegazioni, che sono state ignorate, anche se poi tu spieghi che non ti erano state comunicate. Ma io questo non lo potevo sapere. E leggendo la risposta ermetica nell’altro post, e non ricevendo alcuna risposta al mio primo commento, mi sono adirata anche di più.
            Ma, come ti dicevo, mi era già passata, non avendo interesse a tirar per le lunghe alcuna lite.
            Quindi ora mi trovo davanti alla tua ira che, ripeto, penso sia del tutto giustificata, e chiaramente me ne dispiaccio.
            Vedi tu, insomma, se ne vale la pena. E mi auguro che domani mattina sia già passata anche a te. Anzi, se riesci a leggere subito, se faccio abbastanza in fretta a inviarti questo, spero anche prima che tu vada a riposare. Così riposerai serenamente.
            Sì, sono dispiaciuta. Poi magari ne riparliamo.

            [(però anche tu, prendere al balzo l’occasione per farci subito un post, anche questo non è molto carino. Sei proprio sicuro di doverlo fare? Non è anche peggio di quello che ho fatto io, che mi sono limitata a scriverne qui, aspettando una tua risposta? Se io ho sbagliato, quello che stai facendo tu è del tutto giusto?) questo dovrei cancellarlo, ma lo lascio tra parentesi]

            Buona notte, e Namasté lo ripeto, in modo non ironico, questa volta.
            Così come tu sei libero di accettarlo o meno.

            Ps: anche una lite potrebbe avere dei risvolti inaspettati, persino divini. Tutto dipende da come riusciamo a trasformarla. Pensaci.

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