il piacere di condannare

« … un fenomeno che tutti conoscono: il piacere di condannare. […] Il piacere di esprimere una sentenza negativa è sempre inconfondibile. È un piacere duro e crudele, che non si lascia sviare da nulla. La sentenza è solo una sentenza quando viene pronunciata con una sorta di temibile sicurezza. Essa ignora indulgenza e precauzione. È presto trovata; ed è perfettamente coerente con la sua natura proprio quando scaturisce senza ponderazione. La passione che essa tradisce si collega alla sua rapidità. Le sentenze incondizionate e rapide fanno sì che il piacere si dipinga sul volto del sentenziante. […] Ci si arroga in tal modo il potere di giudice. Ma solo apparentemente il giudice sta nel mezzo, sul confine che separa il bene dal male. In ogni caso, infatti, egli si annovera tra i buoni. La legittimazione del suo ufficio si fonda soprattutto sul fatto che egli appartiene inalterabilmente al regno del bene, come se vi fosse nato. Egli sentenzia in continuazione. La sua sentenza è vincolante. Ci sono soggetti ben determinati sui quali è chiamato a giudicare; la sua vasta conoscenza del bene e del male deriva da una lunga esperienza. Ma anche coloro che non sono giudici, che nessuno ha incaricato di giudicare, che nessuna persona di buon senso incaricherebbe di giudicare, si arrogano continuamente il diritto di pronunciar sentenze su ogni argomento, senza alcuna cognizione di causa. Quelli che si astengono dal sentenziare poiché se ne vergognerebbero, si possono contare sulle dita. La malattia del condannare è una delle più diffuse tra gli uomini: in pratica, tutti ne sono colpiti. »

[E. Canetti, Massa e potere, trad. it. di F. Jesi, in Id., Opere, a cura di G. Cusatelli, Bompiani, Milano 1990, vol. I, pp. 1340-41.]


tratto da http://www.kainos.it/numero9/ricerche/deconciliis-sulgiudizio.html

21 pensieri riguardo “il piacere di condannare”

  1. Eh si, condannare dà quel senso di onnipotenza che inevitabilmente è collegato al piacere. Ma perché proviamo un tal piacere? Forse perché nel condannare ci poniamo al centro del mondo e in un sol colpo ribaltiamo i rapporti di potenza ponendo il mondo, così grande e difficilmente governabile, alla nostra periferia, in fondo alla direttrice che lo raggiunge partendo dal nostro indice? Il mondo, che può essere tranquillamente identificato, almeno in certi momenti, con il nostro prossimo, è semplicemente ciò da cui dobbiamo prendere le distanze per poterlo meglio controllare. In tal modo ci costruiamo la nostra personalità. Si condanna la madre, e il padre, perché in tal modo possiamo porci al di fuori della loro sfera di influenza, prendere le distanze da loro, e costituirci come singoli, come unità con una identità specifica che può essere solo nostra.
    Ma se è naturale e salutare sperimentare la condanna, almeno in una certa fase della vita, non lo è più dopo un po’ di tempo, poiché gli estremi tendono a polarizzarsi e quello che potrebbe diventare un dialogo tra le parti (l’io che condanna e il mondo) si cristallizza, con il risultato di rendere asfittico colui che condanna e rendere impossibile, tra le parti, la comunicazione. Condannare, e continuare a farlo, è quindi rimanere fissati in una posizione che impedisce di sperimentare ulteriori e forse più proficui ruoli, condannando colui che condanna (chiedo venia per il bisticcio..) alla separazione e istituendo perciò una distanza incolmabile con il mondo, che poi è anche una distanza con il mondo dell’altro. Insomma, la condanna non può essere che separazione e inaridimento, e se vogliamo che la nostra vita non sia arida e che soprattutto non sia separata, forse è il caso di abbandonare un tale atteggiamento in favore di una maggiore comprensione per il mondo, e per l’altro, nella speranza che la nuova strada possa permetterci di superare aridità e separazione.

    Dissi bene o dissi sciocco???

    Ben tornata,
    Francesco

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  2. Bentornato a Te Francesco!
    e dicisti giustissimo … si scaraventano i condannati lontano, alla periferia, li si mettono all’indice, se non persino in galera. Ma certo c’è da far differenza fra chi scaraventa e chi viene scaraventato, e perché lo si fa, molto spesso senza giusta causa.

    Perché ho anche l’impressione che emettendo sentenze l’intenzione sia quella di mettersi proprio al di sopra., arrogandosi il diritto di mettersi la toga del giudice.
    Ma, diversamente da un giudice che lo fa per lavoro, come dice Canetti, e che per legge è tenuto ad emettere sentenze – e che se vogliamo rende liberi noi da questo onere duro e crudele, e che perciò potremmo approfittare di questa libertà – la propensione ad emettere sentenze credo sia anche legato ad un sentimento di disamistade, di malevolenza diffusa. L’altro è altro da me, e perciò è mio nemico. E siccome è mio nemico mi permetto di emettere sentenze su di lui e il suo operato, invece di impegnarmi in un dialogo e comprendere le sue ragioni, come farei con un amico.
    Impegnarsi in tal senso significherebbe perdere qualcosa di sé, ma non tutti sono disposti a perdere qualcosa di sé. Molti vogliono solo vincere, guadagnare, accumulare per sé.

    Condannare colui che condanna, no, non è un bisticcio di parole. In un certo senso il condannato e colui che condanna, entrambi subiscono il danno. È la dannazione a legarli, anziché il dialogo e la comprensione. Sono legati nella divisione e con-dividono la pena – anziché il piacere reciproco di conversare l’uno con l’altro.
    La cosa evidente è che nella maggior parte dei casi non c’è alcun vero reato da condannare e per il quale emettere sentenze, ma la sentenza viene emessa forse per il puro piacere di arrogarsi il potere, il maggior potere. È puro gioco di potere, insomma.

    Siamo tutti giudicanti e giudiziabili, questo è vero.
    Certo è che quando ti accorgi che qualcuno ha la propensione ad emettere sentenze, ci stai alla larga. Insomma, se li conosci li eviti. Finché non si sono ristabilite condizioni più amichevoli. Ma non sempre è possibile.
    D’altra parte, potremmo davvero essere amici di tutti? Indifferentemente? Amare tutti?
    Comprendere certe motivazioni talvolta è anche molto difficile, visto il groviglio di impulsi che si avviluppano attorno e dentro e fuori ad un cuore umano, molto umano. Gelosie, desiderio di vincita e di rivincita, eccetera. E non sempre quando le cose si rompono poi si possono recuperare.
    Ma così è. Che ci vuoi fare. Condannante e condannato sconteranno ognuno la pena, ma ognuno nella sua galera …
    Ma: fine pena mai? Anche se a volte è per il proprio stato di condannato che esso desidera trascinare altri nello stesso stato. Renderli simili a sé, perché non può sopportare che altri non siano altrettanto dannati. Chissà, forse anche questa è una forma d’amore, di certo il rovescio della medaglia.
    In realtà è molto raro trovare persone con le quali avere un rapporto pacifico. Molto raro ma anche molto prezioso. E ovviamente la pace, come l’amore, la si deve trovare prima in se stessi, per poter essere in pace anche col mondo.

    Ho scritto un po’ troppo, lo so. Ne ho approfittato per esporre qualche pensierino sul tema, visto che ho postato solo il brano di Canetti che avevo trovato nel testo molto più articolato di cui ho messo il link (in fondo, sotto la foto del dettaglio del giudizio universale).
    Vi ero giunta la scorsa estate mentre facevo una piccola ricerca su Bourdieu e la violenza simbolica.
    Ciao Francesco, un caro saluto, Namasté
    🙂

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  3. No, non hai scritto troppo. Hai scritto bene, e condivido praticamente tutto di quanto dici.
    Quando si sente il bisogno di prendersi più spazio per descrivere quel che urge da dentro, lo si deve fare. Solo così possiamo darci la possibilità di chiarire, per quanto possibile, la natura di ciò che preme per manifestarsi, e solo così possiamo dare agli altri la possibilità di comprendere meglio quanto andiamo dicendo.

    Un caro saluto anche a te.
    (Namasté.. che bel saluto. E quanto rispetto e amore c’è in questa formula)

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  4. più forte ancora del piacere di condannare è il piacere di condannare chi condanna: un piacere al cubo, perché unisce al primo piacere della condanna il secondo piacere di non condannare nessuno.

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    1. Una frase come questa non vuol dire niente, Bortocal. È fumo negli occhi.
      Somiglia al tentativo del pavone di far la ruota nella stagione in cui ha già perso le piume.
      Inoltre, per quanto mi riguarda non esiste solo il piacere, poiché ci sono cose che fanno dispiacere, e di questo non si può non tenerne conto.
      E chi, per seguire il proprio piacere ignora il dispiacere che potrebbe provocare, in lingua italiana si dice “ignorante”.
      Ma grazie lo stesso della visita.

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      1. l’atteggiamento mentale di chi critica e insegna agli altri senza neppure mai sospettare che tutto, ma proprio TUTTO quello che dice ad un altro in modo saccente è applicabile anche a se stesso come lo definisci?

        io la definisco ipocrisia e falsa coscienza.

        invece di parlare di fumo negli occhi perché non provi a riflettere, come la frase suggerisce? ne avresti da guadagnare (secondo me).

        ci sono pavoni che perdono le penne e pavoncelle che non le hanno mai avute, se è per questo, ma non se ne sono ancora accorte.

        ma grazie lo stesso del commento.

        direi che noi due proprio non ingraniamo, ma non preoccuparti, il problema è tutto mio, certamente; è vox populi, quindi anche di dio.

        ciao.

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        1. non ho mai dubitato di dover applicare anche a me le cose che ho scritto.
          anzi, mentre lo scrivevo pensavo che se qualcuno non è “ignorante”, vale a dire se non ignora di dare un dispiacere, è anche peggio. Però pensavo anche che qualche volta non si può evitare di farlo. Tutto dipende dal motivo per cui lo si fa.
          Non tutti i dispiaceri sono evitabili.

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          1. e non è sorprendente che i motivi per cui tu dai un dispiacere a me, sapendolo, e colpendomi nel vivo del mio personale, siano per definizione giusti, e siano invece condannabili in maniera apodittica da te i motivi per cui io, parlando di questioni generali e per amore del sapere, ho dato senza aspettarmelo (forse) dei dispiaceri personali a persone particolarmente suscettibili, una delle quali sei certamente tu che non c’entravi nulla e ti sei messa in mezzo di tua iniziativa in una questione che non ti riguardava per dare una visione distorta di quello che stavo facendo, ?

            o meglio, non sia mai: sia da condannare (per non esporsi troppo) la mia condanna (che io non ho mai espresso, peraltro, salvo che per le pompose stupidaggini di Hegel)?

            mah! continua pure ad arrampicarti sui vetri: una sana autoanalisi ti farebbe molto meglio.

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            1. È già il 3 di ottobre, Mauro, e siamo ancora qui a parlare di questa cosa, e fra un po’ inizieranno a cadere le foglie …
              Tutta questa situazione non è solo sorprendente, ma incredibile, anche per me.
              Non voglio giustificarmi e dire che sia stato giusto tout court.
              Dico solo che quel che è stato non può essere diverso da ciò che è stato. È accaduto. Ma come e perché? E ora come la mettiamo?
              Per amore del sapere, sei interessato a comprendere l’evolversi degli eventi di questo caso particolare?
              Provo a descriverli di nuovo: mi è capitato di non approvare quel post sulle pisciate – che non condivido nemmeno adesso per metodo e per scopi, che non mi sembrano dettati da amore per il sapere, e nemmeno mi sembra un gesto amichevole. Ma quando ho trovato la moderazione nei commenti, è lì che c’ho capito ancora di meno.
              Nel commento nell’altro post tu hai scritto la parola “paranoia”. Eh sì, capita. A te non è mai successo? Prova a pensarci. Solo che nel mio caso la cosa è andata avanti a cuocere per un po’ di giorni. Quindi non è stata una cosa a freddo. Fredda è l’apparenza, sembra soltanto. Ero adirata.
              Quando però mi hai spiegato che la moderazione dei commenti era automatica per chi commentava per la prima volta, e anche per chi nel frattempo avesse cambiato l’email, mi è stato chiaro che avevo preso una cantonata, e che la mia ira era stata del tutto ingiustificata (benché, ripeto, nel momento in cui accadeva mi pareva giustificatissima)
              Ora, le offese che ti ho arrecato colpendoti nel tuo personale: ti ho scritto subito che ero dispiaciuta, senza aggiungere che ti chiedevo scusa. Ma è questo che intendevo.
              Ma forse le scuse non bastano, perché le offese rimangono? Ma solo se sono vere – o no? Ma sono vere? E sono così gravi? Quanto gravi?
              Ed esattamente quale? Sei davvero un pavone che cerca di far la ruota nella stagione in cui ha perso le piume? Se non lo sei, qual è il problema?
              Tu mia risposto per le rime, dicendomi che sono una pavoncella che le piume non le ha mai avute e non se n’è mai accorta. Ed è vero. Infatti, se le pavoncelle non hanno mai avuto le piume, come possono perdere ciò che non hanno mai avuto?
              Oltre alle offese, credo che il problema sia di aver sospettato di te, di non aver avuto fiducia. Ma forse questa fiducia si era già un po’ incrinata in precedenza. D’altronde, potremmo davvero riporre una fiducia illimitata verso qualcuno? Non dovremmo nemmeno riporla in noi stessi, una fiducia illimitata, come vedi.

              Poco fa pensavo che qui stiamo come scrivendo sull’acqua, e che forse non è nemmeno il caso di dare a questa faccenda più importanza di quello che ha, che di certo a questo mondo ci son cose ben più gravi. Ma è solo un suggerimento a posteriori, che avrei dovuto dare a me stessa prima di reagire in quel modo.
              Ma d’altra parte, se tu ti senti davvero offeso, non devo certo essere io a dire che la cosa non ha importanza. Dipende da te, l’importanza che gli vuoi dare.
              Per l’autoanalisi, c’ho provato, ma non so se è quello che avresti voluto sentirti dire.

              Inoltre, come puoi notare, adesso la situazione si è ribaltata. Nell’ottocento quando c’erano in ballo delle offese, risolvevano la cosa con un duello.
              Ma poco fa leggevo un frammento di Eraclito: Si purificano insozzandosi con altro sangue, come se uno, cacciandosi nella melma si detergesse con la melma (frammento 5)
              Mi auguro che non faremo così anche noi, neh … spero che troveremo altri modi.
              Sperem …

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              1. ah, guarda che avevo fatto copia incolla e avevo perso dei pezzi. quindi la notifica del precedente commento che ti è arrivata non è completa.
                (ma non che ritenga che questo commento sia completo, anzi, spero di non aver peggiorato le cose, spero davvero di no)

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  5. scrivo qui perché tutto non si riduca ad una illeggibile stella filante con lettere sparse, partendo da un grazie.

    siamo qui a parlarne non a vuoto, ed evidentemente perché entrambi teniamo ad un chiarimento.

    scavalco l’inizio (ma lo riprendo dopo) e parto da questo punto:
    “Ma quando ho trovato la moderazione nei commenti, è lì che c’ho capito ancora di meno. (…) Solo che nel mio caso la cosa è andata avanti a cuocere per un po’ di giorni. (…) Ero adirata”.

    io no, ho reagito con calma chiedendoti spiegazioni e dicendoti chiaramente che mi sentivo ferito.

    “Quando però mi hai spiegato che la moderazione dei commenti era automatica (…) mi è stato chiaro che avevo preso una cantonata, e che la mia ira era stata del tutto ingiustificata (benché, ripeto, nel momento in cui accadeva mi pareva giustificatissima)”.

    “ti ho scritto subito che ero dispiaciuta, senza aggiungere che ti chiedevo scusa. Ma è questo che intendevo”.

    non ho letto questo commento: dov’é? (ho ricostruito il nostro dialogo nel post di cui hai il pingback qui sopra, anche per comodità, e non c’è): questa svista mia potrebbe avere alterato in maniera sostanziale il nostro discorso; a me è parso che tu non avessi più replicato alle mie spiegazioni, per limitarti a fare dei post di carattere generale, che sembravano poi in rapporto con questa situazione…

    ecco, sono andato a cercarlo in fondo al post sul namasté, ed ora l’ho trovato; mi spiace, ma non mi era stato notificato e non lo avevo letto.

    rozmilla scrive:
    30 settembre 2012 alle 22:52
    Mi sembra giusto che tu ti sia adirato, Bortocal.
    A me invece era già passata, indipendentemente dalle ragioni sulle quali ero ancora all’oscuro.
    Per me questo significa soltanto che siamo entrambi fatti di carne e ossa, e abbiamo entrambi il diritto di adirarci quando le cose – vere o false che siano, o come in questo caso dovuto in parte ad un equivoco – vanno oltre un certo limite.
    Ti chiedo di considerare il fatto che, benché fossi adirata, ti ho esposto i fatti come mi risultavano, chiedendoti spiegazioni, che sono state ignorate, anche se poi tu spieghi che non ti erano state comunicate. Ma io questo non lo potevo sapere. E leggendo la risposta ermetica nell’altro post, e non ricevendo alcuna risposta al mio primo commento, mi sono adirata anche di più.
    Ma, come ti dicevo, mi era già passata, non avendo interesse a tirar per le lunghe alcuna lite.
    Quindi ora mi trovo davanti alla tua ira che, ripeto, penso sia del tutto giustificata, e chiaramente me ne dispiaccio.
    Vedi tu, insomma, se ne vale la pena. E mi auguro che domani mattina sia già passata anche a te. Anzi, se riesci a leggere subito, se faccio abbastanza in fretta a inviarti questo, spero anche prima che tu vada a riposare. Così riposerai serenamente.
    Sì, sono dispiaciuta. Poi magari ne riparliamo.

    [(però anche tu, prendere al balzo l’occasione per farci subito un post, anche questo non è molto carino. Sei proprio sicuro di doverlo fare? Non è anche peggio di quello che ho fatto io, che mi sono limitata a scriverne qui, aspettando una tua risposta? Se io ho sbagliato, quello che stai facendo tu è del tutto giusto?) questo dovrei cancellarlo, ma lo lascio tra parentesi]

    Buona notte, e Namasté lo ripeto, in modo non ironico, questa volta.
    Così come tu sei libero di accettarlo o meno.

    Ps: anche una lite potrebbe avere dei risvolti inaspettati, persino divini. Tutto dipende da come riusciamo a trasformarla. Pensaci.

    ecco, un errore fondamentale è stato nella impostazione della comunicazione e nel fatto, in se stesso banale, che la discussione, che era iniziata sul mio blog, dove ovviamente tutti i commenti mi vengono notificati, è continuata sul tuo, dal quale non ricevo notifiche, perché mi sono dimenticato di metterci la spunta quando commento.

    ovviamente questo passaggio è fondamentale e mi spiace di avere dato l’impressione di non avere voluto rispondere.

    sono iracondo, ma non vendicativo, e il risvolto positivo della mia facilità all’ira è la mia facilità a dimenticarla: non tutti gli esseri umani sono così, e io a volte questo me lo dimentico, ma in questo siamo abbastanza simili.

    credo che qui sopra ci fosse tutto quel che bastava per chiudere almeno un aspetto del discorso.

    purtroppo a questo punto io ho pensato che tu non avessi risposto a me e tu hai pensato che io non volessi rispondere a questo messaggio; ecco le stranezze della comunicazione via blog.

    anche io penso che da una lite possa uscire qualcosa di buono, non litigherei tanto spesso, altrimenti… 🙂

    nel frattempo però era successo di tutto e di più, in una specie di convulso di gridda virtuali tra le quali provare a rimettere ordine è quasi impossibile.

    vedo quel che posso fare: tu ti lamenti qui sopra che io ne abbia anche fatto un post, e non lo trovi carino.

    il post è su un blog praticamente clandestino, 69 visite nel mese dal quale esiste, di cui una ventina sono le tue in questa circostanza; e il post era soltanto una registrazione ordinata del discorso per comodità di ricostruzione, e poi perché mi pareva una situazione talmente paradossale da non perdere di vista.

    è evidente che se avessi voluto fare un attacco e dargli visibilità, avrei postato sul blog principale con i suoi 500-600 contatti al giorno attualmente.

    puoi chiedermi perché non ho reso il post privato, allora; ma la risposta è chiara, per correttezza verso di te, al quale veniva notificato; e mi immagino che cosa sarebbe successo se a fronte di una notifica e di un tentativo di accesso ti fossi trovata la porta sbarrata,

    fra le altre cose, mi rendo conto adesso, avresti potuto proprio notare che il tuo commento di pacificazione non c’era, neppure dopo gli aggiornamenti successivi del post.

    ma il problema che si pone qui non riguarda te, ma in generale l’uso del blog come strumento e la vulnerabilità estrema nostra quando lo usiamo per comunicazione interpersonali; una volta ci feci su una riflessione ad hoc, sul fatto che il blog tende a renderci tutti paranoici, per come è fatto.

    la paranoia è infatti secondo me una forma di paura comunicativa e il blog, togliendoci la vista e l’ascolto dell’interlocutore ci pone in una situazione di incertezza sulle sue reali intenzioni comunicative: questa è la causa principale del dissesto che provoca come mezzo di comunicazione.

    (a questo mi riferisco in particolare quando parlo di paranoia, ma ovviamente tu mica sei obbligata a saperlo…).

    certo, tu dici chela fiducia reciproca si era già incrinata in una precedente situazione; lo so; e infatti quando sono tornato a salutarti perché avevi ricominciato a scrivere, avevo l’incertezza che il nostro dialogo potesse riprendere sereno, e in qualche modo te l’ho anche chiesto se te la sentivi; mi avevi risposto in modo molto positivo e mni ero tranquillizzato; è che a volte presumiamo di noi stessi, ed anche noi, iracondi smemorelli, tanto smemorati non siamo e qualche poco di fango in fondo al cuore ci rimane, anche se non vorremmo.

    con questi chiarimenti credo che si debba concludere tutta la parte che riguarda quel che è successo dal mio commento sul post di mario domina in poi.

    uscirne è stato faticoso per entrambi, ma ne siamo usciti.

    per uscirne del tutto dobbiamo però tornare all’inizio, al mio post su mario domina.

    hai scritto: “mi è capitato di non approvare quel post sulle pisciate – che non condivido nemmeno adesso per metodo e per scopi, che non mi sembrano dettati da amore per il sapere, e nemmeno mi sembra un gesto amichevole”.

    vediamo:
    non hai approvato il post, che c’è di male? mica mi sono arrabbiato per questo.
    non lo condividi, e allora? succede, anche io non ho condiviso l’entusiasmo di Domina per quel passo di Hegel
    non lo condividi per metodi… qui capisco meno.
    non lo condividi per scopi… qui non capisco per nulla.
    non ti è sembrato un gesto amichevole: no, non lo era, ma questo non significa neppure che fosse un gesto ostile; anzi, in una scala tra i due estremi da uno a 100 io avrei posto il segno a 60 nella direzione dell’amichevole: era un tentativo di aprire un discorso con mario, e vedere se era interessato e come reagiva (tra parentesi ha reagito benissimo!)..
    potrà essere stato un modo goffo, sbagliato,di tentare una presa di contatto, non lo nego: però perché non lasciarlo giudicare a lui?
    non credo mario domina abbia bisogno di tutele.

    il mio scopo l’ho dichiarato: amore per il sapere (concepito a modo mio naturalmente); tu questo lo hai negato e lo neghi tuttora; il riferimento al pavone mi fa capire che tu pensi che il mio vero scopo fosse di farmi bello a spese per povero mario.

    non era lo scopo cosciente; aggiungo un piccolo incidente di percorso che può aiutare a capire: quando ho fatto il copia e incolla della citazione, mi sono accorto che questo si era trascinato dietro tutto l’impianto grafico del blog di mario, e ciò dava un rilievo spropositato al tutto, dato il suo carattere inconsueto; era molto tardi e dovevo correre al lavoro, non ho avuto tempo di ridimensionare, e poi oramai il post era così, e non l’ho più corretto.

    il post du Hegel, a chi mi avesse seguito (ma mi rendo conto di chiedere troppo) era lo sviluppo naturale per me di un discorso condotto negli ultimi tempi proprio su Hegel, tema sul quale ho avuto forse un mese fa col prof. Corradini dell’Università di Pisa, che aveva cominciato a commentarmi, e che poi se ne è andato sdegnato accusandomi di arroganza proprio per le mie critiche su Hegel; per non parlare di altri contrasti meno drammatici in cui ho avuto rtensioni sul tema anche con altri.

    forse ero interessato a provare a discutere con qualche altra persona stimabile ed esperta sul tema.

    la tua intrusione pesante con sottintesi di insinuazione su non so quali vantaggi mi sarebbero venuti da questo attacco, ha pesantemente alterato il mio tentativo di dialogo con mario su questo tema.

    e qui finisco: qui per me ancora un’ombra rimane perché ho visto una specie di spirito di gruppo fuori posto in questa tua difesa di mario domina.

    ma, come giustamente dici tu, nessuno di noi è perfetto: il namasté saluta il divino che è in noi, ma saremmo ben sciocchi se pensassimo di trovare negli altri soltanto il divino che è parziale anche in noi.,

    tutti sono capaci di accettare gli altri fino a che li presumono perfetti e di stancarsene quando si accorgono che hanno dei difetti, il vero namasté è quello che rivolgiamo ad un interlocutore consapevolmente imperfetto come noi siamo.

    namasté, rozimilla.

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    1. Ma guarda un po’ in che bel guaio ci siamo messi!
      No, certo, non stiamo parlando a vuoto. Questa mattina mi ha fatto molto piacere trovare questo tuo scritto.
      Infatti è chiaro che una serie di sviste ha alterato la nostra comunicazione – un diavoletto devi averci messo lo zampino. 😉

      Ma c’è di più: pensa che avevo pensato di copiare anche qui quel commento che poi non avevi letto, nel caso appunto ti potesse sfuggire, ma poi non l’ho fatto.
      Inoltre negli stessi giorni in cui ho cambiato l’email, non so quale altro pasticcio devo aver fatto nella scelta del browser, oppure qualche virus, non so, ma non ho più potuto inviare commenti in nessun altro Blog, non solo nel tuo, e né cliccare “mi piace”. Anche adesso ho solo la possibilità di rispondere alle repliche, persino nel mio Blog; mentre in Fb quello è tutto regolare.

      Ora mi è difficile rispondere punto per punto, forse non è più necessario. O si?
      Dico subito che quando ho visto che il rimando finiva in quel Blog periferico, è allora che ho messo le parentesi, e in seguito ho provato a commentare lì, ma come ho già detto, non ho potuto.

      Ma forse la cosa che ha bisogno di ulteriori spiegazioni, è il perché mi ero così adirata per il post sulle pisciate di Hegel.
      Anch’io sto cercando di capire, non credere che per me sia del tutto chiaro, e forse non c’è una risposta sola, né una risposta totalmente razionale. C’è sempre un mix di ragione e sentimento in tutto ciò che facciamo. Poi sai che per noi donne la ragione dei sentimenti pesa di più.

      Provo a dare alcune spiegazioni, quelle che la mia mente razionale riesce a sintetizzare.
      Da una parte forse puoi ammettere (e lo hai anche già fatto) che l’approccio al post di Md., è stato piuttosto leggero, o sbadato, come a prenderlo sottogamba (anche se so benissimo che prendevi in giro Hegel); quindi forse da te mi aspettavo un po’ più di riguardo, anche per il fatto che Mario è un mio amico. So benissimo che non è una cosa grave, ma in ogni modo l’avevo percepita come una scortesia, e mettendomi nei suoi panni, conoscendolo un pochino, forse anche lui. E forse potresti anche ammettere che quello non era il miglior modo per iniziare una comunicazione con chicchessia.

      Quindi, non è Mario ad aver bisogno delle mie tutele, ma forse tu sì. Questa è una battuta, ma poi mi accorgo che non è solo una battuta.
      Se posso dirlo, con tutto il rispetto e l’affetto possibile, mi è capitato di notare una tua tendenza a portare le comunicazioni sul confine del precipizio. Certo nessuno è perfetto, ed è probabile che questo sia il tuo modo di essere. Ma mi chiedo se davvero questo ti renda felice, se ti soddisfi. Questo volevo dire quando ti dicevo che speravo che almeno tu ne avessi ricavato dei vantaggi.
      E non venire a dirmi che sono stata io a impedirti di continuare la comunicazione con Mario, perché Mario, se qualcuno gli si rivolge in modo non adeguato, semplicemente è difficile che prosegua il dialogo. Taglia corto. Diversamente ha molto spesso dimostrato una pazienza notevole. E in generale è molto bravo nelle sintesi.

      Ma poi in effetti ripensando a quel mio commento sono io che devo ammettere di essere stata troppo severa con te, piccolo caro. Sì, troppo severa. Ora penso che dev’essere stata quella mia durezza ad averti ferito. Ora non ricordo cosa scrivesti: che il mio commento ti aveva sbaragliato, o qualcosa del genere.

      Anche le mamme perdono la pazienza, qualche volta – sai?

      Quella che chiami paranoia, so bene cosa sia. Nella vita quotidiana per fortuna non mi capita. Ma certo tutti noi abbiamo paura di perdere la stima e la fiducia degli altri. E l’affetto, anche.

      Ma anche il rispetto non è una cosa da poco. In un altro commento tu scrivevi che non sei obbligato ad essere rispettoso. Invece mi pare più corretto dire che a tutti noi qualche volta capita di non essere rispettosi, ma che in realtà dovremmo sentirci obbligati ad esserlo, e ad esprimerci con gentilezza. Anche perché poi i bambini stanno a guardare e imparano da noi i nostri modi di comportarci, di reagire, eccetera.
      In seguito dovranno cercare di capire che neppure noi siamo perfetti, e provare loro ad essere migliori di noi, se ci riescono.

      Ma non è solo per questo: quando io sono scortese, sento che faccio del male per prima cosa a me stessa. Esprimo il peggio di me, non il mio divino, se tratto un altro in modo sbadato e scortese, come se l’altro non fosse degno del mio rispetto, della mia cura, attenzione e gentilezza. Ma se l’altro non è degno, allora non lo sono nemmeno io. E allora come posso aspettarmi il rispetto altrui? E per quale motivo l’altro dovrebbe essere migliore di me?

      A volte però per rimettere in equilibrio i rapporti possiamo sentire la necessità di entrare nella contesa. Anzi, è persino meglio farlo che lasciar correre.

      Un esempio: disprezzare qualcosa che un altro ama, o per cui ha dell’ammirazione, è come disprezzare il cibo che ci viene offerto. Insomma, non si può pensare di disprezzare il cibo di un altro e credere di poter stare seduti alla sua tavola e mangiare con lui.

      Poi ci sono anche casi in cui la familiarità con qualcuno permette di scambiarsi persino insulti, ovviamente scherzosi e a cuor leggero, se si è certi del rispetto e della stima dell’altro, ma solo se non viene intaccata la fiducia. Diversamente, sarebbe umiliante. In ogni caso credo che sarebbe meglio preferire la poesia, agli insulti. Che la vita è già così dura. Che ad esempio io preferirei imparare modi più gentili, che modi più sgarbati. Come la poesia del gesto?

      Che tu ti sia sentito ferito, e io anche, indica comunque che anche ciò che accade in questo mondo parallelo fatto di parole, non è un niente, e può ferire la nostra carne. Soprattutto se c’è stato uno scambio di un certo peso. Le parole possono ferire più della spada, diceva sempre Md., fin dai primi tempi. Per questo bisognerebbe stare attenti a quello che diciamo, o scriviamo, perché è facile proferir parola, o scriverle, in modo avventato. Perché non possiamo sapere se quello che diciamo sia innocuo per l’altro. O si? O se è proprio necessario dirlo, e perché lo facciamo? Non è sempre chiaro e limpido il perché.
      Essere avventati può capitare a tutti, questo è vero.
      Saper misurare le parole è un’arte difficile, e non s’è mai finito d’imparare, e di sbagliare, anche.

      Ora sto pensando che tutto sommato neppure Hegel aveva tutti i torti quando scriveva che “la coscienza della vita (…) si comporta come la funzione del pisciare”.
      Ma c’è anche da dire che sarebbe impossibile non pisciare. Tutti lo facciamo, che se non potessimo pisciare sarebbe un bel guaio. E dopo una bella pisciata non c’è dubbio che ci sentiamo liberati.
      La coscienza dei perché e dei per come però è altra cosa.

      Ho veramente scritto troppo, una marea. Ho riletto e ho cercato di levare qualche parte. Ma ora non ci riesco.
      Magari ho davvero esagerato e sono andata fin troppo per il sottile.
      Ma se avessi tempo forse potrei affettare la cipolla anche più fine di così – sai? 🙂

      Questa faccenda però è stata per me anche un’occasione per pensare ad altro, molto altro.
      E ora che ci siamo chiariti … non è forse il caso di lasciar riposare un po’ le acque? Prendercela con più calma?
      (così posso portare il computer a resettare)

      Namastè, Mauro.

      Ti auguro una buona serata … e che la pace sia con te …
      un abbraccio

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      1. dovendo necessariamente concludere ad un certo momento questa discussione, ora che ha prodotto i suoi frutti più positivi, mi limito a un paio di considerazioni essenziali.

        l’approccio al post di md non era affatto né leggero nè tantomeno sbadato, giungendo dopo una serie di interventi miei su Hegel abbastanza impegnativi da tutti i punti di vista: era semplicemente ironico.

        spero anche io che l’ironia fosse leggera; così mi pare l’abbia intesa mario domina, prendendola per il verso giusto.

        tu invece pensavi e pensi che io dovessi chissà quali riguardi a mario domina perché è amico tuo: questo non è il mio punto di vista; inoltre ritengo che l’ironia non sia necessariamente offensiva.

        se mario domina avesse scritto cose atroci (ma non lo ha fatto), non mi avrebbe trattenuto dal criticarlo la sua amicizia con te: non capisco questo punto di vista.

        anzi, è proprio quello che mi è sembrato particolarmente negativo nella tua reazione.

        secondo e ultimo punto: tu hai notato “una mia tendenza a portare le comunicazioni sul confine del precipizio”: è vero, e non solo nel blog.

        a volte per conoscere le persone bisogna passare sui carboni ardenti di un quasi lite e una discussione aperta rivela i caratteri autentici, che altrimenti rischiano di essere velati da forme di ipocrisie sociali.

        nella vita reale mi si riconosce prevalentemente un carattere generoso ed aperto, ma questo problema sussiste anche lì: ben pochi sopportano il peso della mia franchezza, quando si esprime senza remore.

        il suo prezzo è molto elevato, forse troppo: sondare gli uomini induce a vederne facilmente i difetti, e anche a riconoscere i propri con la stessa facilità.

        credo, per dirla tutta, che questo sia uno degli strumenti da me escogitati per alimentare il mio pessimismo su tutti gli esseri umani, me compreso, ed impedirmi di vivere nell’illusione.

        c’è in questo disincanto, qualcosa di insopportabilmente divino, secondo me, ed è chiaro che non uso questo aggettivo a caso.

        quindi, dimmi semplicemente namasté, mia cara rozmiilla, come io lo dico a te.

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        1. Non lo so, Bortocal …
          Vuoi che ti dica “solo” namasté? Nel qual caso più che “cara” sarei economica, allora …
          Vuoi che io comprenda il tuo punto di vista?- ma non sei disposto ad accogliere il mio?
          Se io ti dico di aver percepito l’atto come una scortesia, quello è stato e tale rimane, qualsiasi siano le tue giustificazioni. Non sarebbe da parte tua più corretto prendere atto della cosa? E accettare il fatto che io senta diversamente da te?
          Vuoi che io senta le cose come vorresti tu, o mi permetti di sentirle come le sento io?
          Ma è “soltanto” (tra virgolette) una divergenza estetica, temo.
          E se davvero non vuoi farti illusioni, comincia col prendere atto di non poter controllare quello che, secondo te, dovrei o non dovrei sentire.
          E ovviamente questa è una considerazione molto più ampia, che va ben oltre il fatterello che sta all’inizio della quaestio, che è già passato e quasi non me lo ricordo più.
          È stata una cosa ironica? Ma certo, infatti cosa vuoi che sia? Una cosa da niente, morta e sepolta fin dall’inizio. E che non ha prodotto né fiori né frutti. Che d’altronde viviamo in questo mondo imperfetto, per cui ci sta anche quello, e non staremo a farne una tragedia. Ci mancherebbe altro.
          Ma poi, sei sicuro che quel dover “passare sui carboni ardenti” non venga provocato dal tuo tentativo di imporre agli altri il tuo punto di vista? Di piegare la realtà secondo Bortocal?
          Sei una persona generosa, questo lo si sente, ma forse a volte fin troppo generosa verso se stessa.
          E forse a volte tendi ad esercitare in modo eccessivo il tuo potere. Ma il potere reca con sé la responsabilità di esercitarlo nel modo giusto. E può anche essere che – ad un certo punto – i modi siano più importanti delle ragioni.
          Buona giornata

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          1. non riuscirò mai a capire chi sente l’esposizione da parte di un altro di tesi diverse dalle proprie come una insopportabile sopraffazione.

            è un atteggiamento violento ed aggressivo che però imputa l’aggressività all’altro.

            io sono così poco aggressivo che pretendo di dire la mia su Hegel senza che chi mi legge si incazzi se non è d’accordo, e anche se per criticare Hegel mi sono servito della citazione di un amico tuo che è rimasto molto marginalmente coinvolto dal mio giudizio negativo su Hegel.

            io non pretendo affatto che tu condivida i miei giudizi di Hegel, ma certamente pretenderei che tu non mi considerassi un mezzo delinquente e un intollerabile sopraffattore per averli espressi.

            non è il tuo giudizio su Hegel che non posso accettare, ma – comprensibilmente – il tuo giudizio su di me.

            per te è altrettanto? prendiamone atto.

            il mondo è sopravvissuto senza stress se fino ad un anno fa bortocal e rozmilla non si conoscevano; poi lo hanno fatto, si sono piaciuti fino a un certo momento per quel che scrivevano, poi hanno registrato che c’erano dei lati oscuri nel loro diversi modi di pensare che si interponevano fra loro e che invece a ciascuno garbavano poco dell’altro.

            ok, il mondo sopravviverà lo stesso.

            bortocal è aggressivo nella comunicazione? ok, però lo ammette di essere un poco ruspante, lo dice, lo squaderna: chi non regge la discussione aperta, libera, senza offese, ma senza inibizioni di pensiero lo evita.

            rozmilla è aggressiva nella comunicazione? oh sì, è molto ma veramente molto più intollerante di bortocal (dal punto di vista del medesimo), ma lo maschera in modo prettamente femminile sotto tonnellate di finta dolcezza: ok bortocal ne ha conosciute molto di donne così, e ci gira alla larga, anche in un semplice rapporto di blogger a blogger.

            nonostante i miei inviti all’autocoscienza la persona con cui sto dialogando resta ancorata a questa sua posizione arrogante ed intollerante, che in modo prettamente cattolico e cioè sostanzialmente ipocrita si ritorce in una accusa di intolleranza a me che mira a togliermi la mia libertà di parola e di pensiero?

            direi con molta leggerezza e spirito amichevole alla mia cortese interlocutrice di restare pure nel quadro di quel soffocante pensiero chiuso (secondo il mio punto di vista) nel quale – dicendolo senza alcuna ironia – si muove con molta grazia e leggibilità e finezza di pensiero, ma di non mettere più a repentaglio la propria tranquillità continuando a leggermi.

            del resto, addolorato da questo atteggiamento petulante e da queste critiche infondate, farò anche io altrettanto, come spesso mi accade di fare e piantiamola qui, restando amici come prima, ma evitando di disturbarci l’un l’altra, dato che le nostre forme di pensiero sono incompatibili fra loro, ti pare?

            se questa non è tolleranza e democrazia, che cos’altro lo è?

            e con questo mi scuso definitivamente di avere occupato il tuo blog con queste critiche poco urbane che creeranno solo antipatia ai lettori che ti seguono; non lo avrei fatto, avrei trovato più logico che questa discussione si svolgesse lontano dagli occhi e lontano dal cuore del tuo blog, a casa mia, ma sei stata tu a portarla qui.

            namasté? namasté.

            ma il mondo deve essere politeista, e molti hanno dentro di sé divinità diverse.

            dico a te che sarebbe bello saperle accettare, considerando che sei stata tu a criticare ed attaccare me e non viceversa, ma evidentemente non è obbligatorio.

            evidentemente non è neppure obbligatorio continuare a frequentarsi se non ci si sopporta e prendo atto che tu non mi sopporti.

            bye bye.

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            1. Ho letto le prime righe e le ultime.
              E ti scrivo ancora prima di leggere tutto, lo leggerò dopo.
              Questa mattina nel dormiveglia stavo pensando di scriverti questo, più o meno.
              Ovvero che mi pare inutile continuare a battere sullo stesso chiodo quando non se ne viene a capo, perché nelle relazioni umane può capitare di aver torto nell’aver ragione e aver ragione nell’aver torto. E questo è il caso, secondo me.
              Per questo la mia proposta è di provare a parlare d’altro, chiudere questa cosa e parlare d’altro. Vedrai che le cose si sistemeranno da sole. C’è sempre questa possibilità.
              Ho letto qualche altra frase del tuo commento, e vedo che probabilmente la mia proposta è fuori tempo, sono arrivata tardi a dirti questa cosa. Comunque, puoi sempre tornare indietro, se ti va, se lo vuoi.
              Non riesco a credere che non ti dispiaccia di tagliarmi fuori. A me dispiacerebbe, e infatti non lo faccio. La mia porta rimane aperta.
              Ti dico solo che le critiche che mi fai, sul mio personale, non mi scalfiscono perché non sono vere.
              E poi non sarebbe corretto nemmeno verso i cattolici. Io ho dei vicini cattolici che sono molto carini, ad esempio, e per niente ipocriti. E li rispetto anche se immagino che le idee in cui credono di credere sono diverse da quelle in cui credo di credere io. Viviamo accanto da una vita senza mettere in discussione il diritto di ognuno, né sentiamo il bisogno di entrare in competizione per primeggiare gli uni su gli altri. È un rapporto pacifico.
              E non è nemmeno vero che non ti sopporto.

              C’è una cosa che leggevo ieri nel sito Quel che resta del mondo, sul malinteso.
              http://quelcherestadelmondo.wordpress.com/larte-del-malinteso/
              – Potete solo intendere male. E così dovreste fare del malinteso un arte.
              – Ma l’arte dove sta?
              – Essere fraintesi ma parlare comunque con chiarezza allo spirito.

              Buona giornata, Bortocal.

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