controversie

 

Il nostro punto di vista per quanto possa sembrare gonfio di consapevolezza.....

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«Di regola, quando un’annosa controversia sembra non portare a nulla, con entrambe le “parti” che sostengono ostinatamente di aver ragione, il più delle volte il problema è che c’è qualcosa su cui entrambe concordano, ma è sbagliato.»

[Daniel Dennet, Strumenti per pensare. Cortina editore (2014), pag. 48]

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Ho estrapolato la frase in evidenza da un brano in cui Dennet spiega alcuni trucchi per affrontare problemi scientifici o filosofici – poiché scienza e filosofia sono i suoi campi d’indagine, ovviamente.  Il brano è titolato Jootsing, che sta per “jumping out of the system” [saltar fuori dal sistema] (Hofstadter, 1979,1985).
Qui sotto trascrivo parte del brano per esteso:

«Quando affrontiamo un problema scientifico o filosofico, il sistema da cui dobbiamo saltar fuori di solito è tanto radicato da essere invisibile come l’aria che respiriamo. Di regola, quando un’annosa controversia sembra non portare a nulla, con entrambe le “parti” che sostengono ostinatamente di aver ragione, il più delle volte il problema è che c’è qualcosa su cui entrambe concordano, ma è sbagliato. Tutt’e due le parti lo considerano un punto tanto ovvio, di fatto, da non citarlo mai esplicitamente. Individuare questi avvelenatori invisibili del problema non è un compito facile, poiché qualsiasi cosa sembri ovvia agli esperti in conflitto tenderà a sembrare ovvia, se ci pensiamo, praticamente a tutti. Quindi, la raccomandazione di tenere gli occhi aperti per scoprire eventuali assunti impliciti condivisi e falsi non ha grande possibilità di produrre risultati, ma almeno è più probabile che ne troviate uno, se sperate di trovarlo e avete qualche idea di come dovrebbe essere.
A volte c’è qualche indizio. Molti casi significativi di jootsing hanno comportato l’abbandono di qualcosa che godeva di qualche considerazione, ma che poi si è scoperto essere inesistente

Indovinello: (le controversie sono tante, milioni di milioni … ma) a quale particolare controversia (somigliante al tipo descritto, in cui le parti concordano su un punto che potrebbe essere inesistente se solo non lo considerassero un problema) potrei aver pensato dopo aver letto il suddetto brano? oppure, a quale avete pensato voi?
Indizi: l’annosa controversia (quella a cui potrei aver pensato) è sorta dopo la seconda guerra mondiale; e date le premesse e l’ostinazione delle “parti”, non sarà mai finita.
[(nota: i “neretti” sono miei (si fa per dire)]

17 pensieri riguardo “controversie”

  1. Il problema, cara Rozmilla, è che ogni paola è un pregiudizio, come diceva Nietzsche. E perché un discorso proceda, non ci si può interrogare su tutte le parole che lo compongono, e quindi su tutti i pregiudizi. E questa è una prima considerazione.. Ma rileggendo meglio quanto ho appena scritto, mi sono accorto che ho cominciato a parlare di “discorso”, quando la premessa di Dennet si riferiva invece a “un problema scientifico o filosofico”, quindi ad un insieme articolato non coerente, che attende una coerenza (la soluzione del problema). Ero cioè andato fuori strada. Questo potrebbe già essere un esempio di quello che può costituire una criticità. Cioè: stiamo parlando della stessa cosa? E allora mi sorge una domanda: In presenza di problemi scientifici o filosofici, dobbiamo fare un salto fuori dal sistema, o dobbiamo fare un salto nel sistema? In effetti non si capisce perché, per cercare una soluzione, io debba andare fuori dal sistema anziché dentro. Se devo riparare un motore, debbo andare a cercare il guasto all’interno (del motore), non fuori. E, almeno in questo caso, non posso certo sostenere che una visione dall’alto, fuori cioè dal motore, mi possa aiutare..
    Quindi, come la mettiamo?

    Mi sa tanto che sono uscito dal sistema.. O ci sono entrato??? 🙂

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  2. Caro Francesco:
    se il problema fosse un motore, che, poniamo, cerchiamo di aggiustare, e continuiamo a provarci, guardandolo pure sia da dentro che da fuori, ma questo motore non riusciamo ad aggiustarlo, potrebbero esserci varie soluzioni alternative: 1) portarlo da un meccanico esperto di motori che ci dirà di che morte dobbiamo morire (vale a dire se vale la spesa provarci ancora ad aggiustarlo); 2) decidersi a sostituirlo con un motore o un’automezzo nuovo (se possiamo disporre di una cifra idonea); 3) prendere la decisione (magari sofferta) di fare a meno dell’automezzo e di spostarsi con i mezzi pubblici, in bicicletta o persino a piedi. Come vedi, soprattutto nelle ultime due opzioni (a piedi o in bicicletta) siamo saltati fuori dal problema “motorizzazione” 😉

    comunque, in realtà non pensavo a problemi così “tecnici”, anche se tutti i problemi forse un pochino si somigliano, quindi forse tutti possono avere delle alternative (che non riusciamo a scorgere – o non vogliamo).
    ad esempio in questo problema “motore”, l’ostinazione deriva dal credere di non poterne fare a meno, se non addirittura di non poter fare a meno di quel particolare motore, volerlo aggiustare a tutti i costi. A TUTTI I COSTI – costi che possono diventare davvero alti, più alti dei vantaggi che potremmo effettivamente ottenere se in qualche modo riuscissimo a ripararlo.

    Dove avevo scritto “esempi”, forse avrei dovuto scrivere “indovinello” (anzi, ora lo sostituisco).
    E lo ripropongo: a quale particolare controversia potrei aver pensato dopo aver letto il suddetto brano?
    Indizi: l’annosa controversia (che mi è balenata davanti) è sorta dopo la seconda guerra mondiale, e date le premesse e l’ostinazione delle “parti”, non sarà mai finita – e tutto questo ha costi molto molto alti!

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  3. Andare a piedi o in bicicletta non è una soluzione alla riparazione del motore (problema scientifico o filosofico), ma è un evitare il problema. In qualche modo, forse, dichiarare che il problema è insolubile. Andare a piedi o in bicicletta può essere una soluzione al problema di come arrivare da Milano a Busto Arsizio, ma se il problema posto non è quello di come percorrere un tratto di strada, ma quello di far funzionare un motore, non abbiamo risolto alcun problema ma abbiamo spostato l’attenzione altrove. E’ rispetto ad un problema dato che dobbiamo rapportarci (mi pare sia questo il caso dei problemi filosofici o scientifici), e non a qualcosa di diverso.

    Sull’indovinello non saprei.. O meglio, qualche idea ce l’ho, ma visto che l’unica ad avere le idee chiare in proposito sei tu (del resto è a te che è venuto in mente il collegamento tra il brano e qualche altra cosa), perché non fai il primo passo svelando per prima l’arcano? Della serie: “Non pare anche a voi che il suddetto brano si adatti perfettamente a rappresentare queste parti (indicare le parti) e si riferisca a questa controversia (indicare la controversia)??? 🙂

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  4. Infatti non è la soluzione di quel particolare problema, ma è “saltar fuori dal problema”, trovando una soluzione innovativa, creativa. Difatti Dennet descrive il “salto” come un far uscire la novità da un qualche sistema ormai affermato.

    Tu dici, così è evitare il problema di aggiustarlo (senza contare però che quel particolare motore potrebbe essere irreparabile, quindi non avere possibilità di soluzione)

    Inoltre, quello potrebbe essere solo un falso problema, o un problema derivato, da quello originario di “spostarmi” – ossia muovermi da un luogo all’altro (come infatti noti anche tu, solo che lo ritieni secondario).

    Ovviamente nel tuo esempio do per scontato che quel motore sia il motore di un automezzo, che è il mezzo che per abitudine uso per spostarmi – e come lo è per me, lo è per tutti: ossia è il sistema affermato (anche se derivato).

    Sul mio esempio, invece, ormai l’arcano è svelato. Se israeliani prima e palestinesi in seguito, non si fossero ostinati e non continuassero ad ostinarsi per avere uno Stato Nazionale, una Patria basata sull’idea di popolo, quasi garante l’idea di appartenenza etnica … Bah… è un’idea ottocentesca …superabilissima, se solo si accorgessero che è un falso problema … ma tu vaglielo a dire … e vedi un po’ cosa ti rispondono, sia gli uni che gli altri … che anzi (ammesso e non concesso che siano “poverini” gli uni e “poverini” gli altri) .. tutta questa storia .. per me .. è una cagata pazzesca.
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  5. Ho subito pensato al problema palestinese, ma più che altro perché gli indizi che hai enunciato erano evidenti.
    Con Ilan Pappé (Ultima fermata Gaza – Chomsky/Pappé) ho scoperto che da quelle parti esiste una corrente di pensiero minoritaria (ma trasversale) che rifiuta la soluzione dei due Stati e auspica quella di uno Stato democratico unico, dove i due popoli godano di identica dignità e pari diritti.
    È un’ipotesi che risale al 1947, elaborata da membri non allineati delle nazioni unite, ma cassata dalle due Superpotenze favorevoli alla spartizione della Palestina, convinte che “la creazione di uno Stato ebraico a spese dei palestinesi fosse il miglior risarcimento per gli orrori dell’Olocausto”.
    Da cui si potrebbe arrivare alla scoraggiante conclusione che l’efficacia del jootsing dipende non tanto dalla qualità del salto quanto dal potere negoziale di chi lo fa.

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    1. ah, mi spiace, ho aggiunto gli indizi ieri sera, dopo averlo già scritto in un commento più sopra – tra i vari pasticci che ho combinato 😉 che però, chiedo scusa, ma sono piccola cosa in confronto ai pasticci che combinano i potenti nei loro commerci pseudo-umanitari: non riuscirebbero a prevedere il percorso di una biglia su un piano inclinato, pare.
      la creazione di uno Stato ebraico a spese dei palestinesi si è dimostrata efficace a risarcire l’orrore, certo, mettendo in moto la possibilità di reiterare l’orrore in forme sempre più nuove e brillanti. Esplosive, più che altro. Non vorrei far credere di essere in malafede, ma è difficile mettere a tacere l’impressione che qualcuno ci guadagni in ogni caso. Oltre a Israele, chiaramente.
      Sì, anche di recente ho ritrovato le proposte di Pappè, e altri, che però non vengono diffuse abbastanza. Minoritarie, sì, quasi ignorate.
      Del resto è molto più facile istigare l’opinione pubblica a schierarsi da una parte o dall’altra, è gioco facile restare nei termini del sistema orrorifico dato – con tutto quello che è seguito d’allora: al punto che risulta impossibile separare la questione israelo-palestinese dal terrorismo internazionale. Come è altrettanto impossibile tracciare una linea, dividere il mondo in buoni e cattivi. Ma forse sì, fra stupidi e cretini …

      ciao Mauro

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  6. Cara rozmilla, probabilmente continuiamo a non capirci.
    Io ho capito benissimo il tuo discorso, e quello di Dennet, che condivido. Al punto che dopo aver lasciato il mio ultimo commento e poco prima di andare a dormire, ho pensato che avrei dovuto assolutamente farti conoscere un pezzo di Ermanno Olmi che ho letto qualche anno fa, dove si parla proprio di questo.
    Sarebbe il caso che tu lo leggessi direttamente, ma siccome in questo momento non ce l’ho sottomano, epperò è questo il momento di tirarlo fuori, cercherò di farne una sintesi, chiedendoti scusa anticipatamente per le involontarie imprecisioni che non riuscirò ad evitare (se lo ritrovo comunque farò in modo di pubblicarlo da qualche parte, magari su Facebook).

    La storia è questa:
    sul fondo di una vasca (senz’acqua) c’è una formichina che tenta disperatamente di raggiungere il bordo della stessa incamminandosi sul lato inclinato (quello dove capita di appoggiare la schiena quando siamo immersi nell’acqua). La formichina arriva ad un certo punto, diciamo a circa due terzi, poi, vinta dalla pendenza, scivola giù. Il tentativo viene ripetuto più e più volte.. ovviamente sempre con lo stesso esito. Ermanno Olmi, che osserva la scena, si rende conto che la formichina non potrà mai farcela, non riuscendo a considerare tutte le opportunità della situazione. Decide così di aiutarla offrendole l’unica soluzione che può consentire all’animaletto di raggiungere l’agognato bordo. La prende e la sposta dalla parte opposta della vasca, dove ad attenderla c’è una catenella che agevolmente le permetterà l’ascesa. Insomma, se la formichina si fosse guardata intorno (se fosse uscita da suo sistema), ce l’avrebbe fatta anche senza un aiuto esterno. Ma tant’è. Così andò.

    E’ vero, la difficoltà di uscire dai sistemi è enorme. Ma la qualità che ci può aiutare nell’impresa per fortuna c’è. E’ l’intuizione. Che però andrebbe innanzitutto considerata, e poi esercitata..
    Mi viene in mente a tal proposito un celebre aforisma di Einstein: “La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un fedele servo. Noi abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono”. Geniale.. 🙂

    Rispetto all’indovinello avevo pensato due cose: da una parte la contrapposizione dei due blocchi, americano e sovietico, che sotto sotto non hanno smesso di contrapporsi. Dall’altra, quello che hai detto tu. Ma del resto il modello del sistema che ci blocca, da cui non riusciamo ad uscire e che rende invisibili le cose è talmente diffuso, che c’è solo l’imbarazzo della scelta. E chi più ne ha più ne metta.. (sarebbe divertente tentare di scoprire quali e quanti di questi sistemi riusciamo a individuare, come certi giochi della Settimana Enigmistica.. e fare a gara a chi ne scopre di più..).

    Ciao Milena..

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    1. sì, infatti, l’idea era quella: individuare situazioni similari.
      ad esempio ieri mi è stato suggerito un altro esempio, al quale non avevo proprio pensato (avendo (io) focalizzato l’attenzione soltanto verso i problemi macroscopici): ossia il caso in cui le “parti” non sono due agenti esterni e distinti (individui, gruppi o blocchi) ma interni allo stesso individuo, come la sua parte intellettuale e la sua parte emotiva che magari non riescono o fanno fatica a mettersi d’accordo. Non so dire se anche in questo caso le “parti” avrebbero un punto sul quale concordare, ma che è sbagliato; e se c’è, così sui due piedi non saprei dire “quale”.

      Non conoscevo la storia di Olmi che mi hai raccontato, ma non mi è nuova, nel senso che è una situazione che anche a me è capitato di osservare … con formichine o insetti vari. Le formichine, in particolare, quando si trovano isolate dal gruppo hanno meno probabilità di cavarsela, tracciare nuove vie, trovare nuovi sbocchi. La loro forza sta nel grande numero, nei numerosissimi tentativi per prova ed errore (mi pare). Quando poi trovano un modo, una soluzione vantaggiosa, la comunicano a tutto il gruppo, quindi diventa un vantaggio acquisito per tutto il formicaio. Ad esempio, da alcuni anni a casa mia un gruppo di formiche rosse ha creato un percorso che durante l’estate pare una circonvallazione nelle ore di punta, che attraversa la veranda e prosegue fino sul tetto: non sono ancora riuscita a capire da dove partono e dove vanno a finire esattamente, e perché lo fanno, ma tutti i miei tentativi di dirottare il loro percorso si è rivelato inutile: per loro dev’essere importante! Mentre io temo che mi stiano divorando il tetto …
      Olmi è adorabile: grande anche il suo ultimo film “torneranno i prati”.
      Ciao Francesco, buona giornata …

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    2. Ho appena postato su Facebook il pezzo di Ermanno Olmi in cui si parla della formichina. Come ti ho anticipato, l’originale differisce un poco da quello che ho riportato, ma nel complesso la sostanza non cambia (per fortuna).

      Ciao e buona serata..

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      1. ho letto la versione di Olmi; e devo dire – sinceramente e spassionatamente – devo dire che sotto certi aspetti mi piace di più la tua versione.
        e sai perché? perché la versione di Olmi è una versione chiusa, ti dice “quale” a priori (per lui) “deve” o dovrebbe essere la soluzione, ossia la poesia, che è la via che non abbiamo ancora intrapreso: che va bene, ok, può darsi, sarà anche vero – per lui – ma non è l’unica via e soprattutto non è obbligatoria; che in realtà, forse sono un po’ miope, ma non vedo il nesso necessario tra la catenella (la salvezza) e la poesia.
        mentre nella tua versione, semplicemente e senza farsi tante storie ed elucubrazioni arriva la mano misericordiosa che porta in salvo la formichina.
        – dal momento, che in fondo, non è importante il mezzo, quanto il fine: ossia che la formichina possa trovare la via per uscire da lì.
        la versione di Olmi poi conclude con l’idea della poesia come consolazione.
        e io dico, sì, va bene, è una bella cosa la consolazione (roba da anime belle); ma (sintetizzando) se qualcuno ha bisogno del pane non gli puoi mettere in mano una poesia.
        Ovviamente, immagino che anche Olmi, che non credo sia stupido, sarebbe d’accordo su questo punto.
        ciao caro …

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  7. Ma che fai, mi leggi nel pensiero? È ovvio che le parti possono essere anche quelle, forse soprattutto quelle, all’interno di una persona. Proprio stamattina pensavo che la vita stessa, la vita di ognuno di noi, voglio dire, è uno di questi sistemi. Non siamo forse sempre alla ricerca di qualcosa che ci faccia uscire dalle ristrettezze del nostro punto di vista? E tutti i tentativi di comprendere non sono forse motivati dalla necessità di uscire dal nostro angusto spazio esistenziale? Forse, in quanto microcosmo nel macrocosmo, partecipiamo della vita dell’Universo, che è in espansione, e potrebbe essere proprio per questo che anche noi sentiamo forte l’impulso a crescere, ad espanderci.

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    1. ah sicuro! (sarebbe la risposta sorta alla domanda: “mi leggi nel pensiero? :-))
      non solo: uso anche il pendolino, leggo i tarocchi e lancio i dadi :-))

      alle altre due domande è troppo difficile rispondere, in poche parole. non so.
      oppure sono domande retoriche?
      forse a me basterebbe ampliare il mio punto di vista, comprendere più cose. non sono troppo ambiziosa. mi accontento.

      auguriamoci che domani sia una buona giornata, o non troppo pessima per le moltitudini in espansione …
      un saluto affettuoso, caro Francesco

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  8. Quando ho buttato lì il parallelismo tra l’espansione dell’universo e quella dell’uomo, l’ho fatto di getto, senza stare troppo a pensare se la cosa fosse corretta oppure no. Però mi è piaciuto farlo, e mi sembra anche una idea nuova, originale. Non necessariamente vera, d’accordo, però intrigante. Diciamo.. una specie di ipotesi di lavoro di cui potremmo, avendo tempo e voglia, verificare la veridicità. Già la tua riflessione sembra mettere in crisi l’assunto, ma prima di dire che le cose non stanno esattamente come ho prospettato, sarebbe necessario dedicare alla questione parecchio tempo, cosa di cui in questo momento ho scarsa disponibilità. E poi, ne varrebbe veramente la pena? Credo che dovremmo dedicare il nostro tempo esclusivamente alle cose utili, intendendo per utilità tutto ciò che contribuisce al nostro benessere, al benessere degli altri e a quello del mondo in generale. Dedicare il nostro tempo a qualcosa di diverso sarebbe tempo sprecato. Il tempo, insieme alla salute, è il bene più prezioso che abbiamo, e dissiparlo è come versare l’acqua della nostra borraccia nelle sabbie del deserto. Tempus fugit, dicevano i latini. E come dargli torto?

    E dopo il sermone.. a nanna.. 😉

    ‘notte cara

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    1. Hai fatto bene a farlo, ci mancherebbe … e tra l’altro temo che sia piuttosto vera. Soltanto non mi sembra una descrizione del tutto nuova; mi pare di ricordare, per citare un nome a caso, che Spinoza (non so se ti ricordi) aveva espresso la stessa tesi, non con gli stessi termini ma nel senso. Concetti tipo “perseverare nel proprio essere”, “conatus” … dovrei cercare la proposizione precisa, ma ci vuol tempo, e in effetti non ne ho molto. Fra non molto inizia la primavera e ho una montagna di cose da fare, e forse è proprio perché sono troppe che non mi decido a cominciare. Ma ora vado, và, che è meglio… magari mi ci dedicherò un pochino questa sera, in questi voli pindarici … che poi in effetti non concludono un bel nulla, o quasi.
      Prima di salutarti, ti lascio un’ultima cosa, piuttosto comica, di Woody:
      “Per me la natura è… Sai… I ragni, le cimici, e il pesce grosso che si mangia il piccolo, e le piante che mangiano altre piante, animali che mang… È un enorme ristorante: così la vedo”. (Woody, “Amore e guerra”)

      Ciao Francesco, buona giornata.

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