Voltando Pagina

«E quella corrente corre veloce e violenta. Straripa in parole dagli altoparlanti e dai politici. Ogni giorno ci dicono che siamo un popolo libero, che combatte per difendere la libertà. Quella è la corrente che ha trascinato nei suoi turbini quel giovane aviatore fino al cielo e che lo fa girare incessantemente tra le nuvole. Quaggiù, protetti da un tetto, con una maschera antigas sotto le mani, è nostro dovere sgonfiare questi palloni d'aria e scoprire qualche germe di verità. Non è vero che siamo liberi. Questa sera siamo tutti e due prigionieri: lui nella sua macchina con la sua arma accanto, noi sdraiati nel buio con una maschera antigas accanto. Se fossimo liberi saremmo all'aperto a ballare, o in un treno, o seduti davanti alla finestra, conversando. Che cosa ce lo impedisce?» [V. Woolf, Pensieri di pace durante un'escursione aerea, in Voltando Pagina, Saggi 1904-1941]

due per due cinque

Ad ogni modo il due per due quattro è una cosa insopportabilissima. Il due per due quattro, secondo me, è solamente un’insolenza. Il due per due quattro se ne sta lì come uno smargiasso, si piazza proprio in mezzo alla vostra strada, con le mani sui fianchi, e sputacchia. Sono d’accordo che il due per due quattro sia una cosa eccellente; ma se bisogna proprio far delle lodi, allora anche il due per due cinque è talvolta una cosetta proprio graziosa. Fjòdor Michàjlovic Dostojevskij, da "Memorie dal sottosuolo"(1864)

se io fossi io

"Provate anche voi: se voi foste voi, come sareste, e cosa fareste? Per prima cosa si prova un senso di disagio: la menzogna in cui ci eravamo accomodati si è leggermente spostata dal posto in cui si era accomodata. Tuttavia mi è già capitato di leggere la biografia di persone che all'improvviso diventavano se stesse e cambiavano completamente vita. Credo che se io fossi realmente io, gli amici per strada non mi saluterebbero nemmeno, perché persino la mia fisionomia sarebbe cambiata. Come? Non lo so. Metà delle cose che farei se fossi io non le posso dire. Credo, ad esempio, che per un qualche motivo finirei in galera. E se io fossi io darei via tutto ciò che mi appartiene, affiderei il mio futuro al futuro. "Se io fossi io" sembra costituire il nostro più grande pericolo di vivere, sembra l'entrata nuova nell'ignoto. Allo stesso tempo sospetto che, passata la cosiddetta sbornia per la festa improvvisa, proveremmo finalmente l'esperienza del mondo." (Clarice Lispector, La scoperta del mondo)

l’origine condivisa – prima parte

"La più o meno felice certezza del proprio a cui si appartiene e che ci appartiene non definisce più il noi, la nostra identità, così come le complementari compiacenti figure del “vero” altro che la lontananza ci mostrava nel suo luogo, identico alla sua alterità stessa. Esse si disintegrano al loro approssimarsi, dimostrano tragicamente quanto l’alterità più che un problema di distanza sia un passaggio di frontiera, e una frontiera può essere del tutto immaginaria o invisibile. Oggi l’altro non è più l’abitante dell’altrove e la geografia non è più sufficiente a definire un “qui” e un “laggiù”, un prossimo e un lontano, un dentro e un fuori entro cui far rimbalzare l’immaginario (compreso quello politico). L’altro lo incontro ormai tutti i giorni nelle mie più banali attività quotidiane, foss’anche quella di accendermi una sigaretta. Tutto è copresente, presente a se stesso in un mondo di altri e ciò che fa problema non è lo straniero, il lontano, ma questo differente non così differente, quest’altro quasi-altro." Tratto da "L’origine condivisa", di Rosella Prezzo

Wilhelm Meister – una lettura

(...) Questo l’itinerario di maturazione dell’eroe goethiano Wilhelm Meister dalla vocazione al progressivo aprirsi al mondo in cui qualcosa necessariamente viene sacrificato e qualcos’altro si consolida, cosicché il protagonista non si sente “più al bivio, bensì alla meta”, pur non osando “fare l’ultimo passo”, giacché non ne “ha il coraggio”. E’ questo uno dei tanti casi in cui “quando tutto il peso delle ragioni che ci hanno convinti è stato messo su un piatto della bilancia, allora, il contrappeso ricade sull’altro lato e ostacola la decisione”. A questa vocazione devono seguire gli anni dell’apprendistato dove l’eroe raggiunge la sua meta, come commenta Schiller in una lettera a Goethe del luglio 1796: “da un ideale vuoto e indeterminato egli entra in una vita attiva e cosciente, ma senza perdere nulla della sua primitiva forza idealistica”, “acquista determinatezza senza perdere la sua bella determinabilità; che apprenda a limitarsi, ma in quella stessa limitazione ritrovi per mezzo della forma, un passaggio verso l’infinito”. Wilhelm, nel suo vagabondare e nel suo apprendistato, è stato condotto proprio là “dove voleva rifugiarsi”, dove per lui si è dischiuso, nell’intrecciarsi di incontri e relazioni, quanto prima era solo chiuso nel suo cuore. È il germogliare nell’individuo di un vincolo, andato a fondo nella dolorosa infermità etica della libertà negativa, il ritrovare quanto lo unisce all’altro, qualcosa di sacro che risuona nell’unità partecipata della comunità umana. Tratto da: "Labirinti e costellazioni: un percorso ai margini di Hegel" di Rossella Bonito Oliva. (pag.51)