philía – φιλìά

«Per Socrate, come per i suoi concittadini, la doxa era la formulazione discorsiva del dokei moi, di ciò che “mi pare” [appears to me]. Questa doxa non riguardava quel che Aristotele avrebbe chiamato eikos, il probabile, i molti verisimilia (distinti per un verso dall’unum verum, l’unica verità, e, per altro, dalle falsità infinite, i falsa infinita), ma riguardava la comprensione del mondo così come “si apre a me”. Non era fantasia soggettiva e puro arbitrio, ma neanche qualcosa di assoluto e valido per tutti. L’assunto è che il mondo si apre in modo diverso per ogni essere umano, a seconda della posizione che ciascuno occupa in esso. La "medesimezza" del mondo, il suo essere-in-comune (koinon, come avrebbero detto i Greci: comune a tutti), ovvero la sua “obiettività” (come diremmo noi, nella prospettiva soggettivistica della filosofia moderna), risiede nel fatto che lo stesso mondo si apre a ognuno, e che, malgrado tutte le differenze tra gli uomini e tra le loro posizioni nel mondo, e di conseguenza tra le loro doxai, “io e te, entrambi, siamo umani”». [Hannah Arendt, Socrate, Raffaello Cortina Editore; pagg. 25-40]

breve introduzione a Martha Nussbaum

Il pensiero dell’autrice riguardo le emozioni si dispiega in un ampio contrasto: la falsa visione è che esse siano “picchi di ciechi affetti, agitazioni o sensazioni”, identiche a “reazioni corporee”. La rappresentazione più aderente ai fatti è invece che esse siano “un elemento conoscitivo importante” che incarna “modi di interpretare il mondo”, forme di consapevolezza intenzionale intimamente legate alle credenze e in questo modo correttamente valutabili come razionali o irrazionali, e come vere o false.