ghiaccio

Jelena Todorovic - dip.

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si spacca la brocca d’acqua
– stanotte ha gelato –
mi desta.

[Matsuo Basho]

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– E’ ora di alzarsi, pigrona.
È la mamma che lo dice. Ma tu non vuoi mai uscire dal letto caldo la mattina. Così come non vuoi mai entrarci la sera, quando il letto è gelato. E ora si sta così bene qui, al caldo, tra i sogni che non hai ancora finito di sognare.
– Aspetta un attimo, mamma. Ancora cinque minuti – riesci a bisbigliare, piano, per non farli  scappar via. Almeno per avere il tempo di metterli in qualche angolino, per continuare a sognarli  la prossima notte.
– Cinque minuti, ma non di più – dice la mamma – E guarda … com’è finito lì quel pezzo di pane sul comodino?
– Uhm … – tu apri gli occhi, allunghi il collo e ti giri.  E lo vedi, è vero, c’è un pezzo di pane secco sul comodino.
– Non lo so, mamma, non lo so.
– Ti sei alzata ancora questa notte? Avevi fame?
– Non mi ricordo, non lo so.
– Sarai mica andata ancora in sonnambula?  Non ti ho sentito, questa volta.   Ma su, dai, alzati adesso che si fa tardi. E vai a lavarti.
E tu ti alzi e vai. Ti lavi, cambi la biancheria, infili la calzamaglia blu, il maglione e lo scamiciato scozzese. Poi la mamma ti pettina tirandoti i capelli stretti stretti in cima alla testa – ahi che male.  Ti metti nelle tue scarpe, anche loro strette, soprattutto la sinistra. Colazione con caffelatte e pane secco, sempre quello.  Quindi indossi il grembiule nero col colletto di pizzo bianco e il fiocco blu. E sopra tutto il cappotto con i bei bottoni dorati. Prendi la cartella e sei pronta.
– Ciao mamma.
– Fai la brava.
– Sì.
Fuori tutto è bianco di brina; e cammini spezzando ad una ad una ogni pozzanghera che incontri sulla strada; meticolosamente,  senza fartene scappare una, seguendo le linee delle crepe che si diramano negli strati di ghiaccio. Bello. Ti piace un mondo farlo. Su quelle più grandi riesci anche a scivolarci sopra fino in fondo. Su quelle più profonde dove lo strato è più spesso, ci salti sopra facendo saltare il ghiaccio in pezzi e pezzi spigolosi e appuntiti come lame.
Se ce ne fossero di più riusciresti ad arrivare in ritardo. Ma non ce ne sono più. Sei arrivata. Entri e sali al secondo piano, classe II B.

Una mattina come tutte le altre; finché bussano alla porta ed entra in aula una bambina della quarta classe.
– Beh, che c’è? – le chiede la maestra.
– La mia maestra ha detto che … devi mandare da noi una delle tue bambine più brave …
La maestra le dice di avvicinarsi e parlano un po’ a bassa voce.
– Ah, ho capito – dice la maestra – e allora, vediamo … Berenice, vai con lei in quarta classe, che la sua maestra ha bisogno di te per una cosa.
– Per cosa? – pensi, ma non glielo chiedi. Sei stupita – cosa vogliono da me? – ma ti allontani dal banco e segui quella bambina.
Quando entri nell’aula di quarta ti sembra di entrare in una pozzanghera di ghiaccio. Un’altra.
La maestra, estranea, con la faccia severa, e un bambino in piedi davanti a un’operazione scritta sulla lavagna. Tutta la classe ammutolita assiste allo spettacolo.
– Senti un po’ – ti chiede quella maestra -, sei capace di risolvere questa operazione?
Tu lanci un’occhiata alla lavagna e le rispondi, che sì.
– Su fammi vedere. Cosa aspetti?
Tu prendi il mozzicone di gessetto e scrivi il risultato. Facile. Niente di che.
– Hai visto? – dice allora la maestra a quel bambino – che è capace di risolverla anche lei che è di seconda classe? – e ripete –  Lo vedi che una bambina di seconda  bagna il naso a te che sei di quarta?
Quel bambino non dice niente. Abbassa gli occhi, neri, e ha la pelle un po’ più scura della tua; e non ha neanche il colletto bianco, sulla giacchina grigia, sdrucita.
– Ecco,  bagnagli il naso, allora – e ripete – Dico a te, cosa aspetti a bagnagli il naso?
– Come? – tu non capisci cosa vuole da te quella maestra.
Allora lei alza la voce – Ti ho detto che devi bagnargli il naso!
– Come? – tu non capisci proprio per niente cosa vuole da te quella donna. Quella donna che all’improvviso si alza dalla sua sedia, ti afferra un braccio e ti trascina fino ad infilarti la punta delle dita nell’acqua stagnante del sottovaso, di quella  pianta che sta nell’angolo estremo della cattedra. Che non è un geranio. E sempre trascinandoti ti fa strofinare un dito bagnato sul naso di quel bambino. È un attimo, ma vedi i suoi occhi come minuscole e nere pozzanghere di ghiaccio.
Poi la maestra molla la presa e il tuo braccio cade giù a peso morto.
Quando esci da quell’aula vai di corsa verso i bagni. E lì scoppi a piangere e non vuoi più uscire da lì. Anche se c’è puzza, anche se di solito trattieni il fiato più che puoi per fare veloce e scappar via. Niente, piangi, gridi, singhiozzi e pesti i palmi, con una guancia rossa schiacciata sulle piastrelle verde acqua; e non vuoi più uscir da lì. Mai più.
E saresti ancora lì se all’improvviso non suonasse la campanella dell’intervallo.

Giugno. La scuola è finita da qualche settimana, i campi di grano sono già dorati. Fra non molto passerà la grande macchina che  falcerà via tutto.
Al giovedì pomeriggio c’è il catechismo all’oratorio, in chiesa, e ci resti un po’ più del solito,  perché lì fa più fresco o per chiedere spiegazioni all’insegnante su qualcosa che non hai ben capito: Dio uno e trino o cose così. Quando esci non c’è più nessuno in giro, ti avvii sulla strada verso casa, sotto un bel sole caldo, anche troppo.
Più avanti, sul bordo del campo c’è una bicicletta buttata giù per terra. Ma quando gli passi accanto dal campo di grano sbuca fuori un bambino. Fa per prendere la bicicletta per il manubrio, ma ti vede e la ributta a terra. In un attimo ti viene incontro e quando è vicino prende un coltello dalla tasca e te lo punta verso la faccia a pochi centimetri dal tuo naso.
Ti ritrai senza però riuscire a muoverti.
– E adesso fammela vedere.
Resti come paralizzata, ti si blocca la parola in gola. Lo guardi e vedi quelle due minuscole pozzanghere di ghiaccio, lucide e nere.  E’ lui.  Nemmeno volendo riusciresti a gridare. Non riesci nemmeno a pensare – Cosa faccio?
Non c’è niente che puoi fare. Non puoi nemmeno scappare. Il tempo è immobile, pietrificato come il nodo che hai nella gola. Non passa.
Ma tutto cambia quando il portone della cascina dall’altro lato della strada si apre ed esce una donna gridando – Cosa state facendo lì?
Il bambino con un balzo afferra la bicicletta e fila via. E tu rimani ancora lì, come un’allocca.
– Cosa ti stava dicendo? – ti chiede la donna – Cosa voleva?
– Niente – le rispondi.
– Ma sei sicura? Sei tutta rossa. Cosa ti ha fatto quel bambino? Sei spaventata …
– Niente. Non fa niente. Ora vado a casa.
– Vuoi che ti accompagno?
– No, non fa niente. Vado da sola.

Felice Casorati, dip.

15 pensieri riguardo “ghiaccio”

  1. Un sasso nello stagno. Come un sasso nello stagno questo racconto, ma anche come un pugno nello stomaco, che ci spinge ad interrogarci sulla violenza, sollecitando possibili risposte. Violenza che permea quasi ogni cosa, violenza che genera violenza. Che nasce in questo caso dalla maestra (che a sua volta chissà da chi l’avrà ricevuta), che ne dispensa prima al bambino, poi all’ignara bambina, che a sua volta ne riceve dal bambino che per primo l’ha patita. È questo un esempio di come può venire al mondo la catena della violenza, che come un aspide inocula il proprio veleno nell’esistenza degli uomini, intromettendosi, scivolando, insinuandosi nelle vite di chi la subisce, per costituirsi infine come una sorta di tessuto consustanziale alla quotidianità. Ma se questo è un esempio di come la violenza può manifestarsi nella concretezza della vita di ogni giorno, l’origine antica della violenza si perde nella notte dei tempi. Nessuno sa da dove sia nata e in quale momento. Sappiamo solo che c’è, e questo è tutto ciò che possiamo dire di lei.
    Nel momento in cui ha fatto la sua comparsa nella nostra infanzia, per altro senza il nostro consenso, non se ne è più andata. Nell’infanzia nessuno ha potuto sottrarsi a tale contatto. Tutti, chi più chi meno, hanno dovuto subirne le conseguenze. Per tutti c’è stato un battesimo di fuoco. E forse è proprio per questo (perché ciascuno di noi è stato costretto a farne la conoscenza) che poi, una volta adulti, molti di questi adulti hanno pensato di restituire almeno una parte della sofferenza ricevuta, e del veleno assorbito, facendo soffrire ed avvelenando a loro volta gli altri, senza distinzione di sesso né di età. È così che la violenza è divenuta e diviene quotidianamente ubiquitaria. Ma se questo è lo stato attuale della situazione, non per questo ci si deve arrendere. Resisterle bisogna. Non possiamo farci fregare, e trasformarci in suoi portatori passivi e inconsapevoli. Almeno da adulti, ora che possiamo dire no, non bisogna dare il nostro consenso alla sua diffusione. Perché “NO” si può dire, anzi si deve, se vogliamo migliorare la qualità della vita su questa povera (eppure ricca) e disastrata terra. Ed il nostro “NO”, anche se è una piccola goccia nell’oceano, è certo che può avere il suo peso, soprattutto se riuscirà ad unirsi ad ulteriori e sempre più numerosi “NO”, contribuendo in tal modo alla sua estinzione.

    Ciao cara,
    i tuoi interventi sono sempre stimolanti, oltre che molto belli.

    Con affetto,
    Francesco

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    1. Grazie Francesco. Il tuo non è un commento, è una recensione! 🙂
      Prima di tutto ti ringrazio per averlo letto fino in fondo. Non ero sicura che si capisse il senso di questo racconto. Ma almeno tu mi dici, sì, ok, è quello. E non sai quanto avevo bisogno di qualche parola … o forse sì, lo sai. Lo sai …
      Il fatto è che scriverlo, ce lo avevo in mente da qualche giorno, ma scriverlo e poi rileggerlo mi ha fatto stare male, anche per me è un pugno nello stomaco, anche peggio. L’avevo anche cestinato, poi l’ho ripescato. Forse era meglio che lo lasciavo nel limbo.
      Direi però che di violenza è intrisa la natura tutta, in particolare la natura biologica, a partire dalla singola molecola che per sopravvivere può vivere solo a spese di altre molecole: fin dall’inizio la vita è stato un gioco a somma zero. Ma ad un certo punto un gruppo di molecole complesse, ma pur sempre una parte minuscola dell’universo, ha cominciato a farsi domande, su sé, sul bene e sul male, sul senso di tutto questo, e sulla violenza.
      Ma tutto questo è costitutivamente intriso di violenza. È difficile sfuggire a questa “legge”.
      Non credo nemmeno che possa dire che “alcuni adulti hanno pensato di restituire la violenza”: la fanno e basta; poiché credo che la maggior parte non pensi proprio, quando fa e usa violenza. Facciamo, ovviamente, perché potenzialmente possiamo riuscirci tutti, anche senza che ce ne accorgiamo.
      E anche l’educazione, la cultura e la legge, che dovrebbe avere lo scopo di mitigare gli aspetti distruttivi e regolamentare l’agire umano, è anch’essa una violenza. Questa cosa che chiamiamo violenza può prendere molte strade, e avere molte maschere. Si traveste da “amore”, ad esempio.
      E anche per opporsi alla violenza, occorre mettere in atto una certa quota di violenza.
      Ma ovviamente è l’unica alternativa percorribile, non ce ne sono altre. Non ne vedo altre.
      Ti abbraccio Francesco

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      1. no, le ultime frasi dovevano essere domande.
        le riscrivo:
        – per opporsi alla violenza occorre (per forza) mettere in atto una quota di violenza?
        – è l’unica alternativa possibile?
        – non ce ne sono altre?
        – non ne vedo (vediamo) altre?

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  2. Meno male che non l’hai lasciato nel limbo. Se l’avessi lasciato lì avresti privato chi passa da queste parti di un piccolo gioiello..

    È vero, ho sbagliato a dire che alcuni adulti hanno pensato di restituire la violenza. Sono stato superficiale, o forse, solo un po’ frettoloso. Tanto è vero che più avanti ho parlato di portatori passivi e inconsapevoli, segno evidente del fatto che mi rendo conto che la violenza, quando viene agita, viene agita senza neanche pensare al fatto che si sta compiendo un atto violento. Se ne accorge chi è all’esterno, non chi è nell’occhio del ciclone, che non ha la minima idea di quanto stia compiendo in quel in quel momento.
    Diceva Nietzsche, in “Così parlò Zarathustra”, che l’uomo è una corda tesa tra la bestia e il superuomo. Concordo. Superuomo da non intendere come un essere appartenente ad una razza superiore, ma da concepire come ulteriore evoluzione di quello che è l’uomo oggi.
    In fondo, se ci pensi, il cammino della civiltà umana è consistito proprio nel passare da uno stato animale ad uno stato di semi-animalità (purtroppo, solo di semi-animalità, per il momento). E allora, forse, la direzione da intraprendere è proprio quella che punta diritto al superuomo, nel quale, in quanto essere particolarmente evoluto, si spera che la violenza non trovi dimora.

    Per adesso, possiamo solo cercare di non farci veicolo della violenza, per quanto possibile.

    Un caro saluto

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    1. Ti ringrazio molto per l’apprezzamento. Ma … devo dirti che oltre ad essere sempre molto incerta sulla giusta collocazione delle virgole (scherzo) mi dicevo: ma possibile che fra tutte le ottomilioni divinità dello shinto oggi non sia riuscita a scovarne una un po’ più allegra?

      Il discorso sulla violenza e sulla crudeltà è davvero complesso, e ora sono giustamente condizionata, purtroppo,dal libro che sto leggendo, “Il lupo e il filosofo” di Mark Rowlands.
      Ma comunque non hai sbagliato in nulla, tant’è vero che c’è anche chi premedita la violenza, e a volte sono cervelli intelligentissimi … sul fronte criminale. Il fatto di “non pensare”, di essere incoscienti di fare del male, non significa che non esista la premeditazione e la vendetta. Come no ..
      Quello che però facciamo a livello sociale e con le nostre tecnologie forse è ancora più inquietante, e siamo tutti coinvolti.
      Non so se potremo mai essere migliori degli animali, ma di sicuro finora abbiamo dimostrato di riuscire ad essere ben peggiori. Per questo non riesco a vedere il cammino della civiltà in modo del tutto positivo. Troppo uso e abuso di potere.
      Mark Rowlands, scrive che “l’uomo è l’unico animale che premedita la debolezza, che ha preso la crudeltà della vita e l’ha perfezionata e intensificata, portandola ad un livello superiore. In una frase: a differenza degli altri animali, gli uomini progettano la possibilità del male”.
      Ma concordo che per lo meno individualmente dobbiamo cercare di non farci veicolo della violenza, per quanto ci è possibile.
      Forse scriverò qualcosa del libro di Rowlands, anche se sto disperatamente cercando qualche argomento un po’ più allegro.

      Buona giornata Francesco
      qui nevica da ieri sera …

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  3. Non per allungare il brodo, che tanto è un brodo che può essere interminabile, data l’inesauribilità dell’argomento, ma voglio segnalarti che proprio stamattina è uscito, con Repubblica, l’ultimo dei volumetti dedicati alla filosofia curati da Maurizio Ferraris. Sai a che cosa è dedicato? Ebbene sì, alla violenza. Sottotitolo: la violenza è inevitabile?
    Ormai non mi stupisco più di tanto davanti alle coincidenze, però ogni volta, non posso negarlo, mi emoziono.
    Forse sarebbe il caso di leggerlo e vedere come tratta l’argomento.
    Non so, vedrò. Nel caso lo leggessi, o lo leggessimo, ci si potrebbe ulteriormente confrontare sull’argomento. Ma per adesso preferisco di no. Per il momento mi pare sia meglio chiudere l’argomento. Passare a qualche cosa di più allegro, come dici tu, mi pare un gesto decisamente accorto.

    Qui non nevica, per fortuna, e la temperatura è abbastanza mite. Ma quanto durerà?

    Buona giornata anche a te.
    Francesco

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    1. grazie per avermelo ricordato: gli altri me li sono persi, ma almeno questo sono riuscita a trovarlo e ieri sera ne ho letto una buona parte. Un’interessante carellata di problematiche di certo non allegre, ma che non possiamo evitare di conoscere.
      Mi ha molto colpito Anders, che non conoscevo, ad esempio quando dice “siamo degli utopisti invertiti: mentre gli utopisti non possono produrre ciò che immaginano, noi non immaginiamo ciò che produciamo” , eccetera.
      Per il resto, non sono ancora riuscita a trovare qualche argomento allegro. Porta pazienza 🙂
      Ma se per caso sei interessato a scrivere qualcosa su questo o altro argomento, posso pubblicartelo qui, se ti va. E’ una cosa che avevo pensato di chiederti da tempo.

      ma allora, se da te ieri non nevicava, ciò vuol dire che non abiti proprio da queste parti …

      ciao Francesco, ti auguro una buona domenica

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  4. È vero, la maggior parte delle volte non abbiamo proprio la minima idea di quel che mettiamo al mondo.

    Sei gentilissima. Veramente. Molto. Ma non so se sia giusto pubblicare le cose che scrivo sul tuo blog. Preferisco commentare quello che scrivi tu, perché se accettassi la tua proposta ho come l’impressione che “Viaggio nel blu” ospiterebbe una discontinuità di cui proprio non ha bisogno. Per il momento per me è sufficiente commentare quello che scrivi, magari approfittando un po’ della tua ospitalità. Tutto qui. Comunque grazie di cuore.

    Purtroppo no, non abito dalle tue parti. Quando ho lasciato il commento ero a Roma, dove lavoro. Abito in un paese della provincia a pochi chilometri dalla Capitale.

    Buon pomeriggio cara,
    Francesco

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    1. Ok, Francesco.
      Ma davvero è una cosa che volevo chiederti fin dai primi tempi; anche il tuo ultimo commento nella Botte mi è piaciuto molto.
      Ti spiego come ho trovato il nome “viaggio nel blu”: la finestrella chiedeva di scrivere il nome del Blog, e c’era un giornale di arredamento sul tavolo, l’ho aperto e c’era un servizio di tessuti e trame intitolato “viaggio nel blu”, e ho scritto quello. Non c’è nulla di premeditato dietro questo nome, anche se il viaggio può essere il passe-partout per molte cose.
      Ad oggi ho pubblicato 142 post, più o meno interessanti. Qualche volta sento di avere davvero qualcosa da dire, altre volte invece mi chiedo, E adesso che scrivo? Che faccio?
      Poco fa mi chiedevo se avere un Blog non è un po’ come avere un tamagotchi.

      E quindi abiti nei dintorni della Capitale. E forse hai un accento romano … (o forse no)
      Mentre io abito ai margini del parco del Ticino, poco lontano da Malpensa.
      E oggi qui c’è un bel cielo azzurro, quasi limpido.

      Good morning .. 🙂

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  5. Scusami se rispondo a questo tuo commento con un po’ di ritardo, ma darti una risposta è stato un po’ impegnativo, dato che sei tornata a battere sul tasto della proposta di ospitarmi sul blog.
    Eh si, perché devo confessarti che l’idea mi ha stuzzicato (e tormentato) a lungo e non poco. Tanto è vero che se ci hai fatto caso, ho (di proposito) voluto lasciare una porticina aperta scrivendo “Per il momento..”.
    Quindi non so, vedremo. Per il momento.. direi che la decisione presa mi pare la migliore. Anche perché è vero, il blog è un po’ come il tamagotchi. Ha bisogno di cure, di attenzione e di manutenzione. Insomma, richiede impegno. E al momento non credo di poter assicurare all’eventuale nostro/tuo tamagotchi le attenzioni dovute.
    Non so, dai, ne riparliamo più in là..

    Sono davvero molto contento che ti sia piaciuto il mio ultimo commento sulla Botte. Un po’ meno
    il fatto che Mario non lo abbia commentato. Per carità, so che ha tanti impegni, e non solo quello di gestire il blog (tra l’altro molto frequentato da ospiti che a loro volta meritano risposte), però ci sono rimasto un po’ male. Pazienza..

    Sull’accento, romanesco o meno, non ti preoccupare (ma forse ti piace l’accento romanesco?). Chi mi conosce dice che non ho inflessioni pronunciate. E se lo vuoi sapere, perché forse vuoi sapere anche questo, non parlo neanche il dialetto del paese in cui abito. Soddisfatta? Forse si, forse no..

    In questo momento a Roma il cielo non è limpido (non si vedono le stelle), mentre la temperatura è piuttosto bassa. Domani migliorerà?

    A presto cara,
    Francesco

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