L’istante

 
 
 

“Anche nell’ipotesi che tu debba vivere anni tremila e altrettanti anni diecimila, in ogni modo ricordati di una cosa: nessuno perde una vita diversa di quella che in quell’istante egli ha; né altra vita vive se non quella che in quell’istante egli perde. A egual punto dunque perviene una vita lunghissima e una vita del tutto breve. Vedi che il presente è per tutti eguale, ciò che via via si allontana non è più nostro, e il tempo che via via trascorre è istante brevissimo. Infatti non si può perdere il tempo trascorso e nemmeno il tempo futuro; come sarebbe possibile che ci venisse tolto ciò che non si ha? Insomma di questi due fatti bisogna tener vivo il ricordo: il primo che tutto perennemente è sempre d’un solo aspetto e che s’aggira quasi in un cerchio e che non fa differenza in nulla se si dovranno vedere le medesime cose per cento, per duecento anni oppure per un tempo che sia senza limiti.  Secondo fatto: chi muore carico d’anni e chi muore subito perde una stessa cosa. Vedi bene che solo l’istante presente è quello di cui l’uomo dovrà sentire privazione; effettivamente, questo solo egli ha e ciò che non si ha, non si può perdere.”

(Marco Aurelio – Colloqui con se stesso)

 

16 pensieri riguardo “L’istante”

  1. sì, è bella, anche un po’ struggente, secondo me.
    quando ho letto questo pensiero di Marco Aurelio, mi sono ricordata della bolla di sapone di Francesco, ne parlava in qualche commento fa come metafora dell’io.
    così ho trovato questa foto.

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  2. Lo sospettavo..
    Ti confesso, tra l’altro, che anch’io sono un grande estimatore di Marco Aurelio. Non molto tempo fa ho comprato l'”A sé stesso”, che di certo deve essere l’altro titolo con cui viene pubblicato “Colloqui con sé stesso”.

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    1. Caro Francesco, rispondo un po’ in ritardo ..
      Sì, dev’essere lo stesso testo, pubblicato con titoli diversi. E mi sembra anche “Pensieri”. e “Meditazioni”.
      Rispondo qui anche sulla correzzione che mi facevi presente sul blog di Md. (cerco di limitare i commenti sulla Botte: ieri ne ho inviati già due e forse ho sbagliato per ben due volte)
      E’ vero, diceva “E se sbaglio mi corriggerete”.
      “Corriggerete” è al futuro, mentre io avevo scritto “corriggetemi” al presente.
      Proprio questa sera leggevo da un amico, dell'”eterno presente”, che non so bene cosa significhi, se non forse che abbiamo la percezione di esistere solo al presente, che però, contiene almeno anche il passato e, non so come, anche il futuro.
      Diversamente dalla concezione di Marco Aurelio, che “sembra” parlare di istante, in italiano sinonimo di attimo. Mentre quando dice “che tutto perennemente è sempre d’un solo aspetto e che s’aggira quasi in un cerchio”, sembrerebbe dire invece che tutta la nostra vita, quindi tutto il tempo che ci appartiene, è già fin dall’inizio contenuto in un cerchio. Quello che abbiamo è sì l’istate, ma che “s’aggira”, e non va oltre a quel cerchio. “Quasi”, perchè l’immagine è solo metafora, “come se fosse” – è metafisica, non simbologia.
      Nella mia copia non ho il testo greco, ma in latino “i-stante” deriva da stare, che sta sopra, fortemente sta; in-stare (in-minente o in-manente?) che varrebbe anche per “destino”. Vorrei capire la traduzione greca, ma comunque non conosco il greco.
      Ora non voglio tagliare il capello, ma se puoi dare un tuo parere, come sai non mi dispiace.
      A presto

      (Ps: ieri ho comprato “Il non so che e il quasi niente” di Jankelevitch: un bel tomo abbastanza ricco di parole e citazioni greche non tradotte, e non so come farò a tradurle)

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      1. Con te c’è sempre il problema da dove cominciare. Eh sì, perché ne dici di cose in uno spazio così limitato.. Cercherò di fare del mio meglio, ma ti dico già da subito che non potrò soddisfare la mia smania di essere esaustivo. Smania che, a ben guardare, mi sembra proprio che faccia il paio con l’impulso a tagliare il capello..
        Credo infatti che ambedue gli atteggiamenti derivino da una stessa esigenza: avvicinarsi alla verità. Ora, la verità sarà pure una illusione (come tu hai detto nel post che segue, e come io ho sostenuto ricorrendo ad un aforisma di Nietzsche nel mio commento all’aforisma 43 di MD), però credo sia difficilmente contestabile il fatto che di questa illusione non possiamo fare a meno, dato che per procedere nella vita abbiamo bisogno di certezze. Se in un dato momento non ne abbiamo, infatti, se oscilliamo nel buio alla ricerca di un appiglio dal quale ripartire, facciamo il possibile per entrarne in possesso. Le nostre verità, ovverosia le convinzioni che il nostro io è riuscito a mettere insieme durante la vita, non sono eterne, lo sappiamo benissimo. Magari avranno validità per qualche mese, oppure qualche anno, forse alcuni decenni, ma viene prima o poi l’istante in cui tali convinzioni devono cedere il passo ad altro.
        Vale per la scienza, figuriamoci per noi..
        Tanto vale allora non impegnare tutte le nostre risorse nella disperata impresa di convincere qualcun altro della giustezza delle nostre idee.
        Quando mi capita di imbattermi in qualcuno che vuole a tutti i costi e con veemenza convincermi della validità del suo punto di vista, mi viene sempre il sospetto che costui, come in un gioco di specchi, voglia convincere me perché possa convincere sé..

        Un caro saluto e ovviamente, a presto..

        P.S.
        Ho dato un’occhiata su internet al contenuto de “Il non so che e il quasi niente”, e mi hai fatto quasi quasi venire voglia di comprarlo. Mi sembra molto appetibile, ma non credo che lo acquisterò, almeno per adesso. Ho poco tempo per leggere e quel poco che ho vorrei per il momento dedicarlo a quei libri che ho iniziato a leggere ma che non sono ancora riuscito a finire. Per il greco non ti preoccupare. L’importante è capire il senso generale di ciò che l’autore vuole dire. E se proprio non riuscirai a tagliare il capello, beh.. non sarà mica la fine del mondo, no?

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        1. Ti ringrazio per la tua riflessione sulle certezze, ma temo che ognuno abbia le certezze che riesce a mantenere. E al momento, per quanto mi riguarda, fra le poche certezze che ho c’è proprio quella di non averne quasi nessuna. Ma meglio così che credere ciecamente, mi dico, o cercare di convincere altri (immagino ti riferissi al nostro amico sineterico, e non a me, spero; anche se è vero che anch’io ho cercato di convincerlo del suo errore, e ora la cosa non mi sembra tanto diversa. Ma capirai che anche la pazienza ha dei limiti, e mi sembrava del tutto inutile continuare a tirare avanti una situazione che non faceva intravedere via d’uscita. Per questo ho pensato anch’io fosse meglio darci un taglio definitivo. Meglio anche per lui?).
          Tornando alla “quasi nessuna” certezza, però, ho intenzione di lavorarci sopra. E non tanto sul libro che ti ho citato, che fra la montagna di quelle parole fra le quali è quasi meglio non perdicisi, forse ho già adocchiato quello che val la pena di cavar fuori. Quindi il problema di non saper il greco è già scomparso.
          Intanto, più che tagliare il capello, ho pensato bene di farmeli tagliare 🙂 per l’occasione di festeggiare mia madre che è uscita dal tunnel del melanoma: il referto è negativo, non si è diffuso. Messa e pranzo al ristorante come ai vecchi tempi con tutta la famiglia riunita, ed è stato bello. E almeno su questa cosa tiriamo un respiro di sollievo.
          Grazie Francesco. A presto.

          Ps: ricordo che Nietzsche paragonava la verità a delle pietre sulle quali appoggiamo il piede per attraversare il fiume, e ad ogni passo quelle oltrepassate sprofondano subito dopo . Quindi sembrerebbe che la verità è il farsi della verità, la pratica, la prassi. Che altro?
          Ah già … Omnia munda mundis, mi diceva ieri mio cugino.

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          1. Mi fa piacere per tua madre, che è la cosa più importante. Come è importante riunirsi con tutta la famiglia oggi che le famiglie, in generale, non si distinguono certo per essere molto unite.
            Relativamente al “cercare di convincere” non mi riferivo affatto all’amico sineterico, né tanto meno a te, ma facevo riferimento esclusivamente ad alcune persone incontrate nella mia vita, esperienza che in ogni caso credo sia comune a molti di noi.
            Noto con piacere, inoltre, che non ti è sfuggito quel riferimento alla “quasi nessuna certezza” (e come poteva sfuggirti del resto?) su cui dici di voler lavorare. Ma secondo me c’è poco da fare, senza certezze non si può vivere. Sono dei punti di riferimento, o delle pietre, per usare la splendida metafora di Nietzsche (che per altro non conoscevo), senza i quali non si può neanche immaginare di poter avanzare. Si può infatti avanzare rispetto a qualche cosa di ben delineato, altrimenti rispetto a cosa si avanza?

            A questo punto, scusami, ma spezzo un attimo il discorso per riportarti una battuta troppo divertente a proposito di avanzare, fare un passo avanti, etc.. che si è incuneata mentre scrivevo e non sono riuscito più a mandarla via. L’ho letta su qualche blog, ma non mi ricordo più su quale.
            La battuta è questa:
            “Ogni volta che sento un politico dire ‘abbiamo fatto un passo avanti’ penso: “ma se ieri eravamo sull’orlo del baratro, e adesso abbiamo fatto un passo avanti?”.
            Beh, era solo una divagazione..

            Riprendo il discorso..
            Prima di apprendere della metafora di Nietzsche, a me era invece venuta in mente, a proposito della verità, l’immagine della scala. I pioli della scala corrispondono grossomodo alle pietre di Nietzsche. Un passo dopo l’altro si avanza sui pioli, e ci si eleva, si spera, verso la verità. Insomma, credo proprio che non si possa fare a meno di qualche punto di appoggio. Lo diceva Archimede, a cui serviva per sollevare il mondo, e se ne è reso istantaneamente e duramente conto quel tizio che, seduto su un ramo per potare un albero, decise di tagliarlo alla base (il ramo), con il risultato che puoi facilmente immaginare..
            Ti ho convinta???
            Bah..

            Ciao e a presto..
            .

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            1. A proposito sia della scale che dei baratri, poco fa leggevo ancora di Nietzsche la frase “mi spaventano meno le altitudini che i precipizi”. Ma tutta questa paura delle crisi, sulle quali i media martellano a più non posso, e la constatazione anche “reale” che l’economia va di male in peggio ogni momento che passa, non dico che non sia “vera”, ma temo sia una verità fatta di numeri, che non tiene presente e nemmeno conto delle condizioni concrete di quelli che realmente subiscono la crisi, che sono sempre quelli. Persino banale dirlo.
              Oggi cercavo la metafora di Nietzsche, ma non sono riuscita a trovarla. Tra l’altro non vorrei sia una metafora che ha preso forma nella mente del prof. Sini, attribuendola però a Nietzsche, per il significato complessivo. Sarebbe capace!
              Sulla tua idea di elevarsi .. non so. Sei proprio sicuro che la verità si trovi in alto? La verità potrebbe esserci su tutti i gradini, non necessariamente in alto. E poi potrebbe anche darsi che la verità in certi momenti significhi salire, in altri momenti abbassarsi.
              Ti ho convinto? Non ci provo nemmeno 🙂
              ciao

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              1. Hai ragione. Sei riuscita a individuare il punto debole della metafora della scala al quale pure io avevo pensato.
                È che mi sono fatto fregare dall’immagine, perchè siccome la scala fa pensare al salire (anche se in effetti dalla scala si può anche scendere), mi sono lasciato condizionare dalla medesima collocando la verità in alto.
                Le metafore sono belle, ma se non si governano con sagacia, spesso rischiano di portarci fuori strada..

                A presto..

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  3. Cara Roz, intanto sono contento per tua madre ed anche per voi, che le siete vicini. Alcuni tuoi post recenti, con le citazioni che ospitano, sembrano ispirati dalla stessa idea di fondo. Che è poi quella per cui non mi sento più di scrivere.
    Dài un bacione alla tua mamma, da parte di un tuo amico (semi)sconosciuto.
    D

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    1. Salve Dud – o Ferdi? – e grazie per il tuo bacione, che aggiungerò a tutti i bacioni che ho distribuito ad uno ad uno ai miei familiari domenica in chiesa. C’era il prete che mi guardava fisso fisso con occhi interrogativi, come a dire, E questa qui da dove salta fuori? (chissà, forse si vedeva che ero saltata fuori da un Blog?) La messa però era per ricordare uno zio che ci ha lasciati quest’estate, e al quale non siamo potuti stare vicini perché abitava molto lontano.
      Sono passata nel tuo Blog e mi sono accorta che hai smesso di scrivere. E proprio poco fa stavo pensando di mandarti un messaggio, chiederti come va. Devi avermi sentito.
      Ho anche pensato che eri occupato in problemi più concreti. Non oso chiederti, se vuoi dirmi qualcosa ..
      Ma non ho esattamente capito a cosa ti riferisci quando parli di “idea di fondo”, perché ne ho parecchie sul fondo di idee che sono lente a saltar fuori (come vedi anch’io ho rallentato le mie scritture). Ma se ti va, puoi spiegarlo, così magari lo capisco meglio anch’io …
      Un affettuoso saluto.
      Milena.

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  4. Cara Roz, Dud è lo strano nome che mi “sono trovato ad avere” mentre Ferni è un mio nickname storico. Tu puoi chiamarmi come vuoi; quello che ti suona meglio…. Purtroppo adesso ho poco tempo per andare a citare i tuoi post cui alludo (di sicuro quello con la citazione di Saramago) ma mi sembrava che tu parlassi di una sensazione di “essenzialità”. Di qualcosa che andava oltre le parole, i rumori, i pensieri, etc. Come se in certi momenti il superfluo si asciugasse, evaporasse lasciandoti -appunto- una sensazione di essenzialità. Di verità, in qualche modo. Come in questo tuo post MarcAureliano tutto va a convergere verso la cristallina, primitiva, nuda essenza dell’istante. Scusa se adesso non riesco a precisarlo meglio ma, se c’è del vero in quello che dico, sicuramente tu avrai capito. Sennò perdonami per aver visto qualcosa che non c’era.
    Ciao cara, un bacio
    D-F

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  5. Va benissimo la tua interpretazione, caro Dud. (Dud è il nome che preferisco, e mi piace anche il suono).
    Sull’”essenzialità” mi hai fatto ricordare quando Md. qualche tempo fa, nel descriverla la definiva “un’essenzialità piuttosto inessenziale”, cosa ancora più difficile da spiegare. Ricordo anche che quella definizione mi aveva un po’ irritata, allora, ma le cose si afferrano piano piano.
    Al momento, e finché potrò, mi dedico ancora alla pratica della scrittura, ma non so per quanto, perché in certi momenti mi trovo davanti questo schermo, immobile, senza riuscire a scrivere, e a fare niente. Se potessi scegliere, preferirei persino andare al bar a giocare a biliardo, o a ballare sulla riva del fiume (faccio riferimento al film “cento chiodi”), nuotare, o non so cos’altro. Ma la stagione invernale mi costringe un pochino a questi ‘voyage autour de ma chambre’, senza andare molto lontano.
    Ora però vado a cucinare che si sta facendo tardi.
    A risentirci e buona serata.
    Bacio 🙂

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    1. Cara Roz, ti capisco. Anch’io sto facendo una fatica terribile a scrivere. Non ne sento la necessità. Però devo dire che trovo che le parole alla fine tengano legati alla realtà. In qualche modo. Come le tue parole hanno fatto con me. Forse basta usarle con parsimonia, mah… Capita a fagiolo la tua citazione di Centochiodi ed è bello pensare che hai lasciato lo schermo per cucinare del buon cibo.
      A presto
      D

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      1. @ Dud: “le parole tengono legati alla realtà”, anche questo è vero. In parte sono un laboratorio creativo, un universo da esplorare e da trasformare; ma le parole creano anche ponti fra le persone. I ponti però non sono tutti uguali, né per qualità né per misura. Ci sono piccoli ponti su torrenti di montagna, pochi fili sufficienti a collegare le rive; e ponti invece molto più “costruiti”; ma in ogni caso penso possa valer la pena, sempre di non aver intenzione di costruire ponti sullo stretto di Messina. Che in quel caso, anche dopo averlo progettato si può sempre decidere di fermarsi … prima 😉
        Voglio dire che il pericolo, se intendo bene quello che dici, è che il “pensiero” può talvolta essere una delle forme più sottili di violenza. E so bene che la superbia, l’hybris dell’intelletto, il suo “gonfiarsi come un otre” o come una “mongolfiera”, sono esercitati all’estremo dal più orgoglioso degli uomini: il filosofo, direbbe Nietzsche, ma anche “altre” figure “fondamentali” o granitiche.
        Però anche nel mondo reale, a meno di volersi estraniare, è praticamente impossibile fare a meno di parole, pensieri e teorie – ma forse è possibile usarle come un chiodo che schiaccia il chiodo?
        E se ci pensi bene, anche le parole sono cibo, che assimiliamo e cuciniamo, per noi e per gli altri.
        Ma ad ogni modo, è anche inutile scrivere se non riusciamo ad individuare lo scopo.
        E’ importante ritrovare lo scopo. Guardati intorno! (e non lasciar cadere la fiaccola)
        A presto.

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